Piano piano riprendo le consegne di quello che le ferie avevano lasciato in sospeso.
Ritorno al lavoro, al mio corpo, alla mia casa, alla routine e una dolce malinconia mi pervade.
Riscopro il piacere di portare fuori il cane al tramonto. Arturo è il miglior compagno di viaggio che esista: allegro ed entusiasta, sebbene di tanto in tanto euforico, sa anche essere discreto e silenzioso.
Non so chi dei due abbia condotto l'altro e abbia scelto il percorso odierno. Ancora penso a quello che dovrò fare domani al lavoro e ad altri pensieri grigi e mi rendo conto che siamo nel quartiere dei nonni,il quartiere dell'infanzia. Non ci passo da tanto tempo, credo.
E' semideserto. Alcune finestre hanno dei panni stesi fuori, quasi a chiedere pietà al caldo e alla polvere.
Attraversiamo sul piccolo ponte il rio quasi in secca. Riconosco l'odore dell'acqua stagnante, quell'odore che a volte faceva da cornice nel cortile della nonna sarta, quel fazzoletto di mattonelle e grandi vasi di terriccio con dentro i fondi di caffè "perchè concimano" che, non so perchè, si ostinava a chiamare orto.
Da lì, con una canna da pesca inventata con un bastone della scopa e filze bianche mi improvvisavo pescatrice di rane. Che gioia quando riuscivo, sporgendomi con cautela, a far toccare l'acqua alla mia esca!
Il messaggio nella bottiglia del succo di frutta che un giorno con un'amica lanciammo nelle acque. Si arenò poco dopo. Per molti giorni rimase lì, poi non fu più visto. Chissà se mai sia arrivato da qualche parte. Me lo chiedo oggi, pur senza ricordare cosa vi fosse scritto all'interno, come se quel messaggio fosse questione di vita o di morte.
Passo davanti a quelle che erano le case delle mie amiche d'infanzia. Una, da quanto so, si è trasferita con la famiglia. L'altra non so se abiti più lì. Forse è in vacanza. Forse si è sposata. Chissà.
Dopo la curva, sulla sinistra, ricordo che tanto tempo fa c'era un pugno di negozi: un piccolo bar dimesso che faceva focaccine bisunte, la parrucchiera, una pizzeria dove per la prima volta io e le amiche siamo andate a mangiare una pizza da sole, la sera prima di un primo giorno di scuola alle medie e la cartoleria dove la nonna se ero brava mi portava a comprare le gomme profumate.
Ricordo che ho sempre desiderato, senza mai averla, una gomma a forma di idrante. Ho il suo odore, la sua consistenza scolpiti nella mente.
Il bar è chiuso per ferie, così come la parrucchiera; il ristorante ha cambiato arredamento, nome e gestione. La cartoleria ha chiuso, le tapparelle rotte e polverose; dei fiori dipinti sul vetro di quella che una volta era la vetrina restano come unica testimonianza di una passata attività.
Il parcheggio sul retro della casa dei nonni, dove abbiamo aspettato il camion della nettezza, quando abbiamo svuotato le cantine.
Le mattine d'estate passate in cantina, con nonna che faceva la conserva, nonno che lavorava alle sue invenzioni e mi dava dei pezzetti di legno e della colla per i miei giochi. Il pavimento di terra battuta, la cenere per pulire. Tutta quella roba nella cantina, quanta fatica per svuotarla fra le lacrime! Quando è stato? Neppure due anni fa eppure questo poco tempo pesa sulle mie spalle come un fardello.
La persiana di quella che una volta era la cucina dei nonni pende di sghembo, rotta. Nemmeno due anni, eppure già si notano i segni dell'abbandono.
Anche la bottega accanto, quella che vendeva alimentari, dove la nonna andava col portafogli sotto il braccio e una sporta in finta pelle, ha chiuso i battenti poco prima che morisse mio nonno. Troppi pochi clienti, troppo costosa l'attività. Ricordo ancora come era disposta la roba sugli scaffali, la pasta davanti alla porta, vicino alla cassa e il banco delle verdure in fondo, una biro legata con un elastico allo scaffale per scrivere i prezzi sui cartocci.
Venticinque anni o qualcosa in meno trascorsi come un secolo e i ricordi restano così nitidi!
Con la coda dell'occhio guardo il davanti della casa del nonno giardiniere. Il sempreverde davanti avrebbe bisogno di essere potato. Sono lavori che vanno fatti a settembre, così mi diceva. Sapevo che era settembre perchè si potava il sempreverde e ora chissà chi lo fa al posto di nonno e soprattutto chissà se saprà che va potato a settembre.
Arturo trova qualcosa di interessante da annusare, così mi fermo, giusto in tempo per notare che la finestra della camerina ha le persiane aperte.
Qualcuno vive nella casa, o ci sta lavorando.
La finestra ha ancora le tende di nylon, quelle povere, che imitavano il pizzo, tutte traforate. Ricordo le mie dita paffute che si insinuano tra i trafori e nonna che mi brontola perchè le rovino.
Ho passato interi pomeriggi in quella stanza. Riposavo sul letto con la coperta con le rose, quello sempre pronto a ospitarmi, se avessi voluto dormire da loro. Ma io ero testarda, e preferivo dormire a casa mia, o dalle amiche, se i miei non c'erano.
Agosto 2001 se non vado errata, l'ultima notte che ho dormito lì, quando mi ero appena lasciata dal mio primo ragazzo. Ancora una volta la casa dei nonni, come quando ero piccola, mi ha fornito rifugio dai mali esterni, quella stanza fuori dal tempo, dove una volta, più di venti anni fa, passavo i pomeriggi a osservare il mondo fuori dalla finestra, a contare gli autobus che passavano ogni mezz'ora, quelli grossi, pesanti, che andavano verso la montagna.
Come vorrei rifugiarmi ancora fra quelle mura, suonare il campanello, sentire l'odore di quella casa, e passare anche solo mezz'ora in quella zona franca che era l'appartamento dei nonni. Vedere mio nonno seduto che fa i rebus della settimana enigmistica, la nonna in cucina che lava i piatti.
Una casa dove tutto, da anni, ha una sua precisa collocazione, dove tutto sembrava aspettare solo me.
Ma tutto cambia, tutto è simile ai nostri ricordi eppure allo stesso tempo così diverso.
E' stato come guardare uno dei miei film preferiti, di quelli visti talmente tante volte da imparare a memoria le battute del cast e rendersi conto che gli attori non ci sono, che la trama non c'è più, che c'è solo il set visibile a malapena su uno schermo squarciato.
La gola mi si annoda.
Come sempre il mio fido amico mi salva, tirando il guinzaglio e guardandomi con quel modo tutto suo che ha di guardarmi come a dire "Ebbene?"
"Via, si va a mangiare" gli dico. Immediatamente capisce e si rimette in moto e io dietro di lui.
Mentre ci avviamo verso casa rifletto ancora un poco sui segreti che ci legano a questo mondo, in particolare a cosa resta dell'uomo quando l'uomo se ne va.
martedì 12 agosto 2008
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1 commento:
Quello che hai scritto hai il sapore di una canzone di Guccini. Altrettanto bello e commovente.
Sono i ricordi quelli che restano e rimarranno sempre in te. Nessuno te li potrà togliere.
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