Oggi ho realizzato.
La libertà è capire che tutto intorno a noi, le persone che ci circondano, le cose, la stessa nostra vita hanno per noi l'importanza che decidiamo di dargli, non un grammo di più.
Dio può esistere o non esistere, siamo noi a deciderlo.
martedì 31 marzo 2009
sabato 28 marzo 2009
Invettiva
Come tutti quelli che mi conoscono sanno io non sono appassionata di moda o di grandi firme.
Un vestito me lo compro per come mi sta e non per il nome che c'è scritto dietro o sopra o davanti o dove gli pare a loro. Oltretutto ritengo che certe firme siano particolarmente tamarre, abbiano cuciture sciatte e tessuti di scarsa qualità. Per non parlare del fatto che, con ogni probabilità, sia i vestiti del mercato sia quelli delle grandi firme sono stati entrambi cuciti in cina in un casermone dove, nei ritagli di tempo, i poveri operai assemblano anche frullatori e tostapani.
Infatti le uniche cose "di firma" (come diceva mia nonna) che ho sono finite nel mio armadio in seguito a regali. Insomma, se devo scegliere come spendere un migliaio di euro preferisco una vacanzina piuttosto che una cinturina di plastica pitonata, vi pare?
Ecco, quindi capite bene che se oggi sono andata di mia spontanea volontà sul sito di una di queste grandi firme (di cui cercherò di non fare il nome ma non ve lo prometto!) era per motivi diversi dal semplice guardare la collezione autunno-inverno 2009-2010 (ecco un altro motivo per cui odio la moda, quest'ansia di guardare sempre al futuro, di voler anticipare i tempi...mi fanno sempre sentire più vecchia o in ritardo rispetto a qualcosa.) In effetti era per lavoro. Tutto quello che mi serviva: un numero di telefono degli uffici, o anche una mail. Certo, non speravo di trovarlo alla prima. Mi accontentavo, pensate un po' voi come son messa male, del numero verde di un qualsiasi call centeraccio popolato da giovani precari.
Dunque, armata di computer vado su google e clicco sul sito ufficiale della marca tal dei tali.
Mi ritrovo su una pagina dove dominano due fattori: la roboanza e la supponenza.
Neanche il tempo di caricarla tutta che parte a fiamma una musica stile tenax il sabato sera e tutta una serie di intro a cascata noiosissime. Clicco veloce come il vento sulla scritta Skip e vengo proiettata in un'altra dimensione...ai confini della realtà.
Una serie di minischermi in cui modelle scheletriche camminano sulle passerelle, ancora a ritmo di quella house music assurda. Mentre arranco per cercare il tasto togli la musica noto con mio sommo disgusto che spostare il cursore del mouse in quella pagina infestata da ogni tipo di demoni provoca una reazione a catena di effetti tamarri come imitazione dei flash di fotogafi, stelline, brilluccichini, strobo.
Spenta la musica riesco a concentrarmi meglio e noto l'infinita supponenza della pagina. Già, perchè LORO danno per scontato che tu sia finito lì per due motivi: per guardare (e non toccare) oppure per COMPRARE.
Non ci sono alternative. Vado al link storia e mi parla della storia dell'azienda, di quanto è figa e di quanto è bella. Vado già scettica nella sottocategoria prodotti, dove si loda la preziosità dei loro modelli di fattura italiana(il che vuol dire che dall'Italia partono le direttive rivolte al casermone in Cina su come fare i vestiti)e dove si aprono gallerie infinite di collezioni dove sono contenute migliaia di immagini di borse, scarpe, cinture, vestiti etc etc.
Niente da fare. Quanto agli altri link: un breve cenno sui loro fighissimi stilisti tanto fèscion, una raccolta di cosa ha detto la stampa di loro (che sono fighi e che sono belli, ovviamente) e, messo in risalto da ulteriori effetti roboanti, lo spazio clienti, con il simbolo di un bel carrellino della spesa.
Numeri telefonici neanche l'ombra. Un solo indirizzo mail, quello al quale puoi richiedere qual è la loro boutique a te più vicina (sai cosa me ne faccio? anzi quasi quasi se resco a sapere qual è la boutique a me più vicina ne approfitto per fare due passi nei araggi imbottita di tritolo).
Ma porca miseriaccia, ma un numero telefonico di un call centeraccio? Niente di tutto ciò, non è prevista dalla loro logica di "marketing", non fa parte della loro "mission", loro si occupano solo di "customer satisfaction". La loro vanagloria e supponenza è talmente alta che nemmeno considerano il fatto che qualcuno li possa cercare per altri motivi. Basta, sono troppo incazzata.
Ancora una volta mi sento orgogliosa di ammettere che ho scritto il presente post indossando una tuta dei cinesi comprata al mercato!!
martedì 24 marzo 2009
Lotta contro la musica di merda
Un piccolo assaggio della nostra ultima opera...un omaggio a tutti coloro che si ribellano alla musica di merda
domenica 15 marzo 2009
Riflessioni sui teen ager e i difetti posturali
L'altro ieri chiacchieravo con Sara che da qualche tempo lavora in un liceo e da brave "anziane" di quasi 30 anni riflettevamo su come cambiano i tempi e le mode dei teen ager.
Per quanto riguarda quelli della nostra generazione, c'è stato un cambiamento che ha fatto da spartiacque, una rottura che, come la caduta dell'impero romano d'occidente, ha causato il passaggio da un'era (la nostra) a un'altra: la scomparsa dello zaino dell'INVICTA.
Ora come questo sia avvenuto, se gradualmente o di botto, non so dirlo. So solo che quando andavamo alle superiori noi lo zaino invicta era un must, al punto che eri ritenuto sfigato se non ce l'avevi. Ora nessuno ce l'ha più e anzi, se ce l'hai sei ritenuto uno sfigato.
Mi domando come questo cambiamento possa aver influito sul futuro dell'azienda invicta ma non è certo questo il punto.
Lo zaino dell'invicta era uno status symbol, ti dava un senso di appartenenza, era qualcosa che denotava cosa facevi (uno studente gggiovane) e chi eri (non certo uno sfigato).
Ce n'erano di varie tipologie: quelle semplici "monocromatici", quelli con abbinamenti improbabili di colori tipo fuxia, verde e arancio (tipicamente anni 90) o le fantasie "a tema" elaborate dal signor Invicta di anno in anno per vendere di più (psichedelico, dedicato agli indiani, salviamo i delfini, no agli inceneritori, W i sandali con gli occhi...) o quelli storici, ereditati dai fratelli, tutti sbiaditi che al posto delle fibbie grandi avevano quelle piccole.
Spesso e volentieri lo zaino dell'invicta serviva a far sapere agli altri -previa uso indiscriminato dell'uni posca- i tuoi sentimenti (Francy TVTB, Mary TAT, W la fia) la tua fede(forza juve, forza milan, forza pistoiese) o semplicemente chi cavolo eri (Ely L., Chicca '79, Matte G.). Se per caso cambiavi idea riguardo a una delle cose suddette avevi due alternative: lavare lo zaino finchè, insieme al suo colore, non se ne andava via un po' di uni posca e scriverci sopra le tue nuove opinioni oppure direttamente cambiare lo zaino comprando un invicta nuovo.
Ma quello che veramente ha contraddistinto una generazione intera, la mia, non è stata la tipologia di zaino dell'invicta, ma come veniva portato.
Ora, si sa che lo zaino è fatto appositamente per essere portato su due spalle (guarda caso ha due lacci sul dietro, non UNO come il monospalla che fra l'altro ha riscosso un limitato successo) ma non so per quale motivo a un certo punto venne fuori la moda che lo zaino dell'invicta andava portato su una spalla sola: se lo portavi su due eri, manco a dirlo, uno sfigato al pari di coloro che non avevano lo zaino dell'invicta.
Che poi l'unico laccio che usavi mica lo potevi tenere stretto! no, doveva essere lentissimo in modo che lo zaino penzolasse a livello delle chiappe, a volte sbattendoci direttamente sopra.
Ora, poichè spesso e volentieri i libri che portavamo a scuola erano molti e anche pesanti, come per la torre d Pisa ci piegavamo dall'altra parte per fare da contrappeso.
Come se non bastasse mica ti potevi mettere lo zaino in spalla appoggiandolo prima in alto, tipo su un banco! no, fare così era da sfigati (che te lo dico a fà) dovevi sollevarlo da terra, farlo ruotare e mettertelo in spalla direttamente con un rumore tipo CIAC che a volte era provocato dallo zaino che sbatteva sul giacchetto, altre dalla tua spalla che si lussava.
Da qui ecco il danno: un'intera generazione di giovani ha portato giorno dopo giorno per 5, a volte anche 6, 7 o 8 anni (a seconda di quante volte ripetevi gli anni scolastici) lo zano su una spalla sola...Cazzo le nostre schiene ne devono aver risentito di brutto!
Così come è successo per certi antropologi che hanno trovato scheletri antichissimi con le ossa orredamente deformate da chissà quale moda assurda forse tra un mille anni degli antropologi del futuro studieranno i nostri scheletri e si domanderanno come mai un certo numero di scheletri presentano una spalla più bassa dell'altra.
La risposta, cari antropologi e archeologi del futuro, ve la dò io: è lo zaino dell'INVICTA!!
mercoledì 4 marzo 2009
La domanda fatidica
Il post di oggi è una considerazione che già da un po' di tempo mi ronzava nella testa ma solo oggi, dopo la visita oculistica del rinnovo della patente (eh già, sono ben 10 anni che semino il panico per le strade)mi sono decisa a esplicitarla.
Un tempo neanche troppo lontano era ritenuto maleducazione chiedere un'età a una signora. Mia nonna non mi ha mai voluto dire la sua età, si arrabbiava se glielo chiedevo e purtroppo quanti anni avesse nonna l'ho scoperto solo il giorno in cui l'ho letto sulla sua lapide. Oggi i tempi sono cambiati. Forse perchè sono ancora ggggiovane (o così mi ritengo) non mi dà alcun fastidio dire che ne ho 28.
Al giorno d'oggi c'è una sola domanda che temo più della peste: che lavoro fai?
Cioè, non se siamo in un salotto fra amici e l'ultimo arrivato mi chiede "allora Marta, che lavoro fai?" in tal caso rispondo senza problemi: "mi occupo di cultura bla bla bla bla" e ne può nascere anche uno spunto di conversazione semibanale/semipallosa.
Già, ma quando a chiedertelo è, come oggi, un dottore/burocrate(che sono la razza peggiore!!)cosa cavolo gli rispondi? Quello si aspetta da te una risposta breve e sintetica, non la storia della tua vita. A lui di cosa fai o non fai non gliene frega nulla, a dire il vero non gliene frega nulla nemmeno se hai lo sguardo da lince o sei cieco come una talpa, sebbene debba rinnovarti la patente. A lui gli interessa di liberarsi di te il più presto possibile, barrando con una crocetta un quadratino dei 5 a scelta multipla sotto la voce professione, applicare un timbro e riscuotere i tuoi soldi. Fine della visita, può mandare avanti il prossimo.
Suppongo che 10 anni fa, quando presi la patente, alla stessa domanda abbia risposto: studentessa.
Così ho continuato finché ho potuto, anche se lavoravo e studiavo allo stesso tempo. Perchè l'essere studenti è di per sè un alibi a questa domanda. Che fai? Studio. Non fa una piega. Anche se hai 70 anni e non dai esami da 20. Cosa gliene frega? studente è una delle opzioni contemplate nella lista. Questo basta.
Pochi giorni dopo la laurea mi fu fatta la stessa domanda non ricordo per cosa e io risposi a cuor leggero: studentessa. Solo dopo mi resi conto che non era più vero, che non sarebbe stato più vero.
L'altro giorno consideravo con il mio amico Giova che ci sono due cose fra le altre in base alle quali si realizza di essere "diventati adulti", vale a dire quando alla domanda "professione?" non si risponde più a cuor leggero "studente" e quando alla domanda "mail?" invece di rispondere "AkkalappiaKani87@sountubo.com o biondaocchiazzurri82@mailfasulla.it" si risponde con un sobrio "nome.cognome@gmail.com.".
Sì ma questa considerazione non risolve il problema sollevato: cosa cazzo rispondo al medico della visita per la patente?
Dopo un'ora di attesa in una stanza con pannelli esplicativi dei vari cartelli stradali e i fari di una finta ritmo rossa puntati verso di me sento chiamare il mio nome. Mi avvicino alla scrivania del dottore tutta intimorita (già, perchè fra l'altro ho paura che in 10 anni la mia vista sia calata e mi metta l'obbligo di guida con lenti), mi siedo e mi indica delle lettere su un pannello luminoso. Ok, fin qui ci sono, niente obbligo di guida con lenti.
Poi prende un foglio in mano e inizia a compilare i campi. Dio, ti prego, fa che non ci sia QUELLA domanda, fa che non me lo chieda, fa che non me lo chieda. E invece, eccotela che arriva: "Professione?" "Ehm" faccio io "sinceramente non so che dirle...PRECARIA." "ma non posso rispondere precaria" "allora" ribatto io "metta COLLABORATRICE A CONTRATTO" "eh" fa lui "ma non posso mettere nemmeno quello. che cosa fa?" "mi occupo di cultura in un ufficio" il suo sguardo si illumina "aaah, impiegata" mi dispiace quasi deluderlo "no, veramente no" "allora..libera professonista?" il suo sguardo è quasi di supplica. "guardi" faccio io "non so come risponderle, metta quello che le sembra più appropriato".
Il dottore prende i soldi, mi consegna il foglio compilato e facendomi uno sguardo mesto mi saluta con un "in bocca al lupo per il suo futuro".
Questa è la situazione dei giovani. E anche dei meno giovani. Mi domando se tutti siano in difficoltà come me a rispondere a QUELLA fatidica domanda.
Per cui, dico io, ok che lo stato, i politici e tutti coloro che si riempiono la bocca di belle parole per aiutare i giovani e bloccare il precariato non sono riusciti a fare nulla, ma almeno cazzo si mettessero d'impegno per eliminare la domanda "professione" dai questionari burocratici. Ci risparmierebbero un bel po' di seccature, no?
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