Ho cambiato idea sull’Italia
Articolo di Società cultura e religione, pubblicato giovedì 24 dicembre 2009 in Gran Bretagna.
[The Guardian]
La mia storia d’amore con l’Italia è finita. L’idillio non c’è più. Ora vedo il Paese per quello che è veramente : razzista, di destra e corrotto.
Mi sono chiesto a lungo come iniziare questo articolo che spiega come mai ho cambiato idea sull’Italia, come mai nel corso dell’ultimo decennio il mio sdegno sia cresciuto sempre di più nei confronti di un paese e di una cultura che prima mi deliziavano così tanto, e come mai adesso non m’importa quasi per niente se un giorno tornerò a mettere piede su quella terra. Ma non avrei dovuto preoccuparmi, un articolo pubblicato dal Guardian mi ha dato lo spunto.
Il reportage di John Hooper su Coccaglio, paese vicino Brescia, raccoglie la maggior parte di quello che non va nell’Italia moderna in un pacco natalizio, confezionato con carta regalo molto particolare e chiuso con un meraviglioso fiocco come solo gli italiani sanno fare. Hooper ci racconta come il Natale a Coccaglio sia segnato da una ricerca condotta casa per casa per scovare immigrati irregolari (ovvero neri). La retata, promossa dal consiglio comunale locale controllato dalla Lega Nord, è stata ufficialmente denominata Operazione Bianco Natale e finirà, oh oh oh, il 25 dicembre. Un consigliere di Coccaglio ha dichiarato che il Natale è una festa dell’identità cristiana, non una celebrazione dell’ospitalità. L’intera operazione è stata salutata e appoggiata dal governo di Silvio Berlusconi.
Essendo un europeo del nord, sono cresciuto con la propensione nordeuropea a innamorarsi dell’Italia, un paese dove c’è tepore al posto di freddo, luce al posto di buio, estroversione al posto di introversione, passione al posto di repressione. Visitare l’Italia, come ho fatto per un bel po’ di anni della mia vita, voleva dire entrare nel mondo dei sensi, in un posto dove il cuore ha la meglio sul cervello, dove la bellezza prende il posto della bruttezza e dove la naturalezza sciolta e tollerante rimpiazza la severità abbottonata del mondo protestante. Col passare degli anni mi sono interessato alla lingua, all’arte, alla storia e ovviamente anche all’opera e alle donne. Sono rimasto affascinato anche dalla politica. La sinistra italiana sembrava possedere un modo tutto suo, colto e acuto allo stesso tempo, di vedere il mondo e il proprio Paese. Era una combinazione accattivante di socialismo e stile. Mi pareva che a Bologna avessero inventato la città moderna perfetta, combinando dinamismo intellettuale, un’amministrazione locale straordinaria e alcuni esempi della cucina migliore d’Europa. Come tanti altri della mia generazione, mi sono bevuto tutto quanto e mi chiedevo come mai noi inglesi non potessimo somigliare un po’ di più agli italiani.
Ma questo era tanto tempo fa. Adesso vedo le cose in maniera diversa. Sarebbe facile scaricare tutta la colpa su Berlusconi, sulla sua personalità grottesca, sulla sua corruzione, sulla sua mancanza di vergogna e sul suo razzismo , e fino ad un certo punto, certamente, lo faccio. Ciò che George W. Bush ha fatto per la reputazione mondiale degli Stati Uniti, Berlusconi l’ha fatto per la reputazione dell’Italia. Tuttavia, c’è una grossa differenza: l’ascesa di Bush ha reso possibile l’ascesa correttiva finale di Barack Obama. In maniera opposta, l’ascesa di Berlusconi sembra autoalimentarsi e sembra portare l’Italia sempre di più verso una politica controllata e dominata dai media. A volte ho paura che questo sia il nostro futuro anche nel Regno Unito se non staremo attenti. Il mio quiz natalizio per i lettori è questo: chi potrebbe essere il Berlusconi britannico?
Torniamo in Italia. Quando gli osservatori inglesi guardavano gli Stati Uniti un decennio fa e si chiedevano come avessero fatto ad eleggere qualcuno come Bush, c’era almeno una chiara risposta psefologica alla loro domanda (la quale non era semplicemente la risposta ovvia che nel 2000 non l’avessero eletto). Gli americani hanno scelto Bush due volte perché gli elettori americani, soprattutto i maschi bianchi, sono tendenzialmente, sia culturalmente sia politicamente, più a destra dei votanti maschi e bianchi nella maggior parte d’Europa.
Ci dobbiamo porre una domanda simile sugli italiani. Come hanno potuto eleggere Berlusconi, farlo una seconda volta e poi una terza? L’hanno fatto, sospetto, per le stesse ragioni psefologiche degli americani che hanno scelto Bush. Ripercorrendo gli ultimi 150 anni di storia italiana possiamo notare lunghi periodi di governo della destra, seguiti da un breve periodo di catastrofi e, successivamente, una riconferma della destra. L’Italia non è mai stata quel paradiso liberale di cui si illudono qualche volta i progressisti europei. In realtà è un Paese in cui c’è una maggioranza di destra. È molto più corrotto, depravato, razzista e anarchico di quanto i turisti di classe media, pieni di fantasie ispirate da EM Forster e che vedono solo quello che vogliono vedere, possano immaginare. Coccaglio non è un mero correttivo di tutto questo. L’Italia è così. Dimenticate l’Italia di Dante. Dimenticate l’Italia di Verdi. Dimenticate l’Italia delle vostre fantasie. Benvenuti nell’Italia che definisce una retata contro gli immigrati ‘Operazione Bianco Natale’, nell’Italia che dichiara che il Presidente degli Stati Uniti ha una bella tintarella, la stessa Italia che poi si mette anche a ridacchiare di queste cose.
[Articolo originale "I've changed my mind about Italy" di Martin Kettle]
lunedì 28 dicembre 2009
venerdì 18 dicembre 2009
mercoledì 16 dicembre 2009
mercoledì 25 novembre 2009
Idiocracy
Demotivato, si...
in alcuni momenti della mia vita io mi sento veramente
molto, molto, molto, molto, molto, molto demotivato.
E mi sento anche molto molto molto molto depresso
E del resto sara' capitato anche a voi di trovarvi
in una cameretta in un terrapieno a 60 metri di profondita'
e di sentirvi demotivati e depressi.
(E.E.L.S.T. "La saga di addolorato")
Eccoci, demotivata è come mi sento adesso. Sono stanca e arrabbiata ma di una rabbia vuota, inutile. La mia vita procede normalmente: bene l'amicizia, bene la salute, bene l'amore, come direbbe l'oroscopo. Il lavoro...quello ancora è saltuario ma comunque qualcosa c'è. Insomma non dovrei avere nulla di cui lamentarmi se ho queste cose. Se una persona dovesse "badare solo al proprio orticello" nelle mie condizioni non potrebbe far altro che essere contenta.
E invece no. Perché purtroppo non riesco solo a guardare al mio orticello. Non riesco a pensare solo al presente, solo al mio presente.
Guardo la tv di sfuggita, mi basta anche spulciare il più caccoloso e stropicciato giornalaccio gossipparo nella sala d'aspetto del dottore per farmi saltare i nervi.
E mentre sono così incazzata mi passano davanti i volti di Amici, di X Factor e della casa del grande fratello. Gente che fa ore e ore di fila per un provino, mentre io, che non ho mai studiato le leggi in vita mia, mi arrabatto a studiare leggi e decreti per piazzarmi in graduatoria a un concorso pubblico e avere così qualche chance in più di un posto a tempo determinato per tre anni. E allora mi incazzo ancora di più. E mi demotivo.
Mi sembra che il mondo si stia muovendo, stia ruotando, stia portando tutti a un rincoglionimento globale. La scuola, i media, tutto serve a questo: a rincoglionire ancora di più la gente, ad abbrutirla, a renderla ancora più stupida così che possa fare e credere a quello che il nano malefico del momento stia blaterando.
Mi viene in mente un film che ho visto qualche tempo fa: Idiocracy.
A vedere la locandina e leggerne la trama sembra un film demenziale. In realtà non è proprio così. Se non l'avete visto vi consiglio di vederlo.
venerdì 9 ottobre 2009
Il solito tegamone sul suv
Perché bisogna dire le cose come stanno. Il 99% delle donne alla guida dei suv sono dei puttanoni inenarrabili. Poi c'è uno 0,5% di rincoglionite croniche. Infine uno 0,5% di donne normali. Potevo io oggi aver a che fare con questo ultimo 0,5%? No ovviamente. Sono incappata in una della maggioranza.
La mia strada è senza sfondo. E quel che è peggio è che è stretta, anzi, strettissima. Del resto, dato che le prime costruzioni sono documentate qui a partire dagli inizi del Novecento, con molta probabilità non è stata pensata per accogliere macchine. Tantomeno quegli aborti automobilistici che sono i suv. Quando la mia famiglia si trasferì qui le macchine erano ben poche. Nella maggior parte dei casi ci vivevano vecchietti. Me le ricordo ancora le auto parcheggiate qui: la 127 blu (bleargh) dei miei, la fiesta del dirimpettaio, la A112 del mio vicino di casa e l'altra fiesta del babbo della Vale. Fine della fiera. Ora tutti (mia famiglia compresa hanno almeno 2 macchine a testa. E parecchi anche delle auto grossotte. E tutti PRETENDONO di parcheggiare la propria macchina davanti casa. Che discorsi, anche a me fa piacere, se trovo posto. Ma se non lo trovo esco e la metto più in là. Ma ci sono persone che no, questo non lo concepiscono. Anche se non c'è proprio posto loro il parcheggio lo CREANO. Incastonano la macchina con manovre improbabili, sudando e durando più fatica che se l'andassero a parcheggiare all'Acquerino e poi nessuno riesce più a passare. Ma a loro che gliene viene? Basta posteggiarla davanti casa. Poi se è messa in verticale e solo 2 ruote su 4 poggiano a terra fa lo stesso.
Ma questo è un altro discorso. Oggi non voglio parlare di quelli. Voglio parlare di quel TEGAMACCIO sul suv.
Torno verso casa, piove, e come sempre quando piove per strada è un casino. Pedoni impazziti, automobilisti impazziti, camionisti impazziti, autisti del copit impazziti. Finalmente a casa...o meglio nella mia strada...C'è la mia vicina col marito accanto alla loro macchina che è parcheggiata staccata dal muro e questo rende assai difficoltoso il passaggio alla mia modesta Lancia Y. Ma non dico nulla: vabbè che parcheggiano sempre le macchine malissimo ma oggi hanno le due bimbe piccole, le stanno mettendo in macchina per andare via, poveracci, diamogli modo di caricarle.
Appena supero la macchina però...il DISASTRO...
Giro l'angolo ed eccolo, il mio acerrimo nemico, la mia criptonite. Un suvvone metallizzato ENORRRME, pieno di roboante tracotanza, con le lucine della retro belle accese e il suo culone deciso a venirmi addosso per spiaccicarmi. Prima che succeda l'irreparabile il suv si ferma, mi suona il clacson e dal vetro oscurato (maledetti vetri oscurati!) esce una voce che mi intima con una supponenza pari a quella delle lucine della retro del suo fuoristrada di andarmene che deve uscire. E io secondo lei, di grazia, dove vado? In avanti no perchè il suo macchinone mi tappa tutta la strada. All'indietro manco a pensarlo, ci sono quelli con le bambine poverine (certo cazzo anche loro, sempre nel mezzo nei momenti meno opportuni). Apro il finestrino a mia volta e le bercio "guardi, se va avanti mi accosto al muretto e la faccio passare". L'enorme pachiderma su 4 ruote, incastrato nella strada stretta, resa ancor più stretta dalle macchine parcheggiate, si muove a fatica. Sta perdendo la sua baldanza. E si riferma. Nel mezzo. Non ha capito un cavolo di dove doveva andare ma fa niente. Ce la posso fare. Con i nervi del collo che mi si stanno tendendo riesco, a furia di manovre impossibili, ad accostarmi e parcheggiare la macchina. Intanto la coppia con le due bambine del cavolo, poverine, è ancora lì che annaspa credo coi seggiolini.
In quel frangente il suv apre la sua portiera e partorisce una donna. E che personaggio! Testina straparrucchierata (no, non era bionda, era mora...ma secondo me era una bionda in incognito, tinta di nero e se la vedessi nuda sono sicura che le mie congetture sarebbero confermate)con capello liscio piastrato e frangiona alla cleopatra (80 euro, con la mastercard del su' marito), jeansini aderentini elasticizzati (100 euro, con la mastercard del su' marito) e degli stivaletti con tacco a spillo altissimo, anche quelli probabilmente comprati con il contributo del marito che renderebbero impossibile la guida anche a un professionista nel settore, figurarsi a questa tipa qua.
Ticchetta i suoi tacchi arroganti verso di me e mi fa "ma te avresti intenzione di lasciarla lì la macchina? io credevo tu la mettessi in garage".
Ora, io non sono cattiva. Se me l'avesse detto con un altro tono probabilmente mi sarei spostata senza fiatare, anzi, sarei stata felice di fare largo a lei e al suo suv di merda. Ma con quell'arroganza, manco si rivolgesse alla sua colf per chiederle d stirarle la camicetta di seta...non c'era modo che io muovessi la mia macchina di lì.
"Guardi" le faccio "io ho anche le chiavi del garage. Ma in casa. Se aspetta che entro le cerco e la sposto" (si noti come fossi ancora mediamente ben disposta verso di lei).
Al che lei mi risponde con insolenza "ma voi dovete metterci una sbarra qui. In questa strada non ci si passa. Non è possibile una strada dove non ci si passa"
"Io ci passo" le rispondo "non ho mica il suv, io".
"Ma questa strada è stretta, io non ci passo"
"ecco e allora mi spieghi perchè cavolo è voluta entrare con codesto trombone in questa strada che è stretta"
"Questi sono fatti miei. Io se voglio vado dove mi pare. Ora chiamo i vigili! Vedrete che le levano loro le macchine."
"Guardi" faccio io, serafica "che la mia macchina NON è in divieto di sosta. E' correttamente parcheggiata. E' la sua semmai che adesso sta in mezzo alla strada"
Finalmente gli intrepidi genitori capiscono che forse è il caso di levarsi di torno, primo perchè la loro macchina obiettivamente rompe dimolto i cosiddetti, secondo perchè fra qualche secondo potrebbero piovere parole non adatte alle orecchie delle loro bambine.
La claopatra de noialtri continua a sciorinarmi invettive. E' il momento della stoccata finale
"senta, basta vedere come è vestita per capire che lei non sa guidare. Non so cosa ha fatto a suo marito per convincerlo a comprarle quel cavolo di suv perchè io a una come lei non l'avrei mai preso".
Sbraita ancora qualcosa, non le dò spago. Probabilmente se ascoltassi le sue parole finirei per prenderglielo a badilate, quel suo suv. Rientro in casa. Lei rimonta sul suo pachiderma della strada. La macchina con le bambine ha sgombrato il passo. Due manovre e il suv esce dalla mia vista. E stavolta spero per sempre.
La mia strada è senza sfondo. E quel che è peggio è che è stretta, anzi, strettissima. Del resto, dato che le prime costruzioni sono documentate qui a partire dagli inizi del Novecento, con molta probabilità non è stata pensata per accogliere macchine. Tantomeno quegli aborti automobilistici che sono i suv. Quando la mia famiglia si trasferì qui le macchine erano ben poche. Nella maggior parte dei casi ci vivevano vecchietti. Me le ricordo ancora le auto parcheggiate qui: la 127 blu (bleargh) dei miei, la fiesta del dirimpettaio, la A112 del mio vicino di casa e l'altra fiesta del babbo della Vale. Fine della fiera. Ora tutti (mia famiglia compresa hanno almeno 2 macchine a testa. E parecchi anche delle auto grossotte. E tutti PRETENDONO di parcheggiare la propria macchina davanti casa. Che discorsi, anche a me fa piacere, se trovo posto. Ma se non lo trovo esco e la metto più in là. Ma ci sono persone che no, questo non lo concepiscono. Anche se non c'è proprio posto loro il parcheggio lo CREANO. Incastonano la macchina con manovre improbabili, sudando e durando più fatica che se l'andassero a parcheggiare all'Acquerino e poi nessuno riesce più a passare. Ma a loro che gliene viene? Basta posteggiarla davanti casa. Poi se è messa in verticale e solo 2 ruote su 4 poggiano a terra fa lo stesso.
Ma questo è un altro discorso. Oggi non voglio parlare di quelli. Voglio parlare di quel TEGAMACCIO sul suv.
Torno verso casa, piove, e come sempre quando piove per strada è un casino. Pedoni impazziti, automobilisti impazziti, camionisti impazziti, autisti del copit impazziti. Finalmente a casa...o meglio nella mia strada...C'è la mia vicina col marito accanto alla loro macchina che è parcheggiata staccata dal muro e questo rende assai difficoltoso il passaggio alla mia modesta Lancia Y. Ma non dico nulla: vabbè che parcheggiano sempre le macchine malissimo ma oggi hanno le due bimbe piccole, le stanno mettendo in macchina per andare via, poveracci, diamogli modo di caricarle.
Appena supero la macchina però...il DISASTRO...
Giro l'angolo ed eccolo, il mio acerrimo nemico, la mia criptonite. Un suvvone metallizzato ENORRRME, pieno di roboante tracotanza, con le lucine della retro belle accese e il suo culone deciso a venirmi addosso per spiaccicarmi. Prima che succeda l'irreparabile il suv si ferma, mi suona il clacson e dal vetro oscurato (maledetti vetri oscurati!) esce una voce che mi intima con una supponenza pari a quella delle lucine della retro del suo fuoristrada di andarmene che deve uscire. E io secondo lei, di grazia, dove vado? In avanti no perchè il suo macchinone mi tappa tutta la strada. All'indietro manco a pensarlo, ci sono quelli con le bambine poverine (certo cazzo anche loro, sempre nel mezzo nei momenti meno opportuni). Apro il finestrino a mia volta e le bercio "guardi, se va avanti mi accosto al muretto e la faccio passare". L'enorme pachiderma su 4 ruote, incastrato nella strada stretta, resa ancor più stretta dalle macchine parcheggiate, si muove a fatica. Sta perdendo la sua baldanza. E si riferma. Nel mezzo. Non ha capito un cavolo di dove doveva andare ma fa niente. Ce la posso fare. Con i nervi del collo che mi si stanno tendendo riesco, a furia di manovre impossibili, ad accostarmi e parcheggiare la macchina. Intanto la coppia con le due bambine del cavolo, poverine, è ancora lì che annaspa credo coi seggiolini.
In quel frangente il suv apre la sua portiera e partorisce una donna. E che personaggio! Testina straparrucchierata (no, non era bionda, era mora...ma secondo me era una bionda in incognito, tinta di nero e se la vedessi nuda sono sicura che le mie congetture sarebbero confermate)con capello liscio piastrato e frangiona alla cleopatra (80 euro, con la mastercard del su' marito), jeansini aderentini elasticizzati (100 euro, con la mastercard del su' marito) e degli stivaletti con tacco a spillo altissimo, anche quelli probabilmente comprati con il contributo del marito che renderebbero impossibile la guida anche a un professionista nel settore, figurarsi a questa tipa qua.
Ticchetta i suoi tacchi arroganti verso di me e mi fa "ma te avresti intenzione di lasciarla lì la macchina? io credevo tu la mettessi in garage".
Ora, io non sono cattiva. Se me l'avesse detto con un altro tono probabilmente mi sarei spostata senza fiatare, anzi, sarei stata felice di fare largo a lei e al suo suv di merda. Ma con quell'arroganza, manco si rivolgesse alla sua colf per chiederle d stirarle la camicetta di seta...non c'era modo che io muovessi la mia macchina di lì.
"Guardi" le faccio "io ho anche le chiavi del garage. Ma in casa. Se aspetta che entro le cerco e la sposto" (si noti come fossi ancora mediamente ben disposta verso di lei).
Al che lei mi risponde con insolenza "ma voi dovete metterci una sbarra qui. In questa strada non ci si passa. Non è possibile una strada dove non ci si passa"
"Io ci passo" le rispondo "non ho mica il suv, io".
"Ma questa strada è stretta, io non ci passo"
"ecco e allora mi spieghi perchè cavolo è voluta entrare con codesto trombone in questa strada che è stretta"
"Questi sono fatti miei. Io se voglio vado dove mi pare. Ora chiamo i vigili! Vedrete che le levano loro le macchine."
"Guardi" faccio io, serafica "che la mia macchina NON è in divieto di sosta. E' correttamente parcheggiata. E' la sua semmai che adesso sta in mezzo alla strada"
Finalmente gli intrepidi genitori capiscono che forse è il caso di levarsi di torno, primo perchè la loro macchina obiettivamente rompe dimolto i cosiddetti, secondo perchè fra qualche secondo potrebbero piovere parole non adatte alle orecchie delle loro bambine.
La claopatra de noialtri continua a sciorinarmi invettive. E' il momento della stoccata finale
"senta, basta vedere come è vestita per capire che lei non sa guidare. Non so cosa ha fatto a suo marito per convincerlo a comprarle quel cavolo di suv perchè io a una come lei non l'avrei mai preso".
Sbraita ancora qualcosa, non le dò spago. Probabilmente se ascoltassi le sue parole finirei per prenderglielo a badilate, quel suo suv. Rientro in casa. Lei rimonta sul suo pachiderma della strada. La macchina con le bambine ha sgombrato il passo. Due manovre e il suv esce dalla mia vista. E stavolta spero per sempre.
giovedì 1 ottobre 2009
5 ore fuori dal mondo
Mi rifaccio viva dopo lunga assenza con un post riflessivo.
Non illudetevi: sono sempre la solita becera incazzosa, solo che l'arrivo dell'autunno e il cielo grigio mi rendono un tantinello meno sarcastica e un cincinnino più poetica.
Sono appena tornata dalla stazione, come spesso avviene il giovedì, con due biglietti freschi freschi pistoia-vercelli vercelli-pistoia e un ceninaio di euro in meno. Questo è quanto costa a me l'amore. E non è tanto, basti pensare quanto è costato e costerà ancora al nostro caro presideeente.
Come ogni giovedì una coda assurda alla biglietteria: quelli che non sanno bene dove vogliono andare e come deve fare per andarci (ma se vogliono so ben io dove mandarli), quelli che chiedono biglietti per viaggi assurdi, quelli che "non voglio acquistare il biglietto adesso, voglio solo informarmi, tanto se parto parto intorno a Natale" e quelli che "ma io volevo solo un biglietto per Firenze e mi tocca a fare due ore di fila" (brava fava, ma la biglietteria automatica no eh?)
Dicevo, nonostante la culona arrogante in coda avanti a me che ci ha messo un'ora per avere informazioni su un viaggio che doveva fare "più in là" alla fin fine non sono rientrata a casa arrabbiata e nervosa. Anzi, sapete cosa? Sono proprio contenta di partire venerdì.
Direte: bella roba, chiaro che hai voglia di partire, vai dal tuo ragazzo.
No, non è solo questo. Certo che sono felice di vedere il mio fidanzato. Ma a volte mi fa piacere anche il viaggio in sè. Sì, proprio quello scomodissimo viaggio che dura 5 ore e mi fa cambiare vari treni.
In fondo, se non mi fosse piaciuto viaggiare in treno non sarei stata con Loris.
In treno, soprattutto col nuovo supponentissimo freccia rossa sei fuori dal mondo. Vedi le case, le auto, le strade fuori dal finestrino che sfrecciano via veloci e non fanno rumore. Sei in una specie di limbo animato da rumori tutti suoi: ronzii, passi, a volte pianti di bambini (accidenti a chi ce li porta) telefonate, chiacchiere, risa. E' il momento ideale per il mio hobby preferito: la lettura.
Adoro leggere polpettoni storici in treno mentre fuori il tempo rannuvola. Adoro perdermi, non sapere più in che parte di mondo sono o quanto manca ad arrivare, chi ho accanto o chi ho davanti. Vivere dentro le pagine del libro che sto leggendo.
Queste 5 ore (anche quelle sui regionali contano, anche quelle le passo leggendo) mi servono per ricaricarmi, per staccarmi dalla realtà e vivere in un mondo mio. Un mondo che di volta in volta posso cambiare, sulla base dei libri che scelgo.
Ecco alcuni dei libri che ho letto in questi quasi due anni in treno che mi sono piaciuti di più. Se non vi piacciono i libri storici e molto molto descrittivi non provateci nemmeno a leggerli. E non criticatemi, i gusti sono gusti:
C. W. Gortner "L'ultima regina"
M. Faber "Il petalo cremisi e il bianco"
E. Zola "Al paradiso delle signore"
M. Orths "La figlia del sole e della pioggia"
G. Arthur "Memorie di una geisha"
Non illudetevi: sono sempre la solita becera incazzosa, solo che l'arrivo dell'autunno e il cielo grigio mi rendono un tantinello meno sarcastica e un cincinnino più poetica.
Sono appena tornata dalla stazione, come spesso avviene il giovedì, con due biglietti freschi freschi pistoia-vercelli vercelli-pistoia e un ceninaio di euro in meno. Questo è quanto costa a me l'amore. E non è tanto, basti pensare quanto è costato e costerà ancora al nostro caro presideeente.
Come ogni giovedì una coda assurda alla biglietteria: quelli che non sanno bene dove vogliono andare e come deve fare per andarci (ma se vogliono so ben io dove mandarli), quelli che chiedono biglietti per viaggi assurdi, quelli che "non voglio acquistare il biglietto adesso, voglio solo informarmi, tanto se parto parto intorno a Natale" e quelli che "ma io volevo solo un biglietto per Firenze e mi tocca a fare due ore di fila" (brava fava, ma la biglietteria automatica no eh?)
Dicevo, nonostante la culona arrogante in coda avanti a me che ci ha messo un'ora per avere informazioni su un viaggio che doveva fare "più in là" alla fin fine non sono rientrata a casa arrabbiata e nervosa. Anzi, sapete cosa? Sono proprio contenta di partire venerdì.
Direte: bella roba, chiaro che hai voglia di partire, vai dal tuo ragazzo.
No, non è solo questo. Certo che sono felice di vedere il mio fidanzato. Ma a volte mi fa piacere anche il viaggio in sè. Sì, proprio quello scomodissimo viaggio che dura 5 ore e mi fa cambiare vari treni.
In fondo, se non mi fosse piaciuto viaggiare in treno non sarei stata con Loris.
In treno, soprattutto col nuovo supponentissimo freccia rossa sei fuori dal mondo. Vedi le case, le auto, le strade fuori dal finestrino che sfrecciano via veloci e non fanno rumore. Sei in una specie di limbo animato da rumori tutti suoi: ronzii, passi, a volte pianti di bambini (accidenti a chi ce li porta) telefonate, chiacchiere, risa. E' il momento ideale per il mio hobby preferito: la lettura.
Adoro leggere polpettoni storici in treno mentre fuori il tempo rannuvola. Adoro perdermi, non sapere più in che parte di mondo sono o quanto manca ad arrivare, chi ho accanto o chi ho davanti. Vivere dentro le pagine del libro che sto leggendo.
Queste 5 ore (anche quelle sui regionali contano, anche quelle le passo leggendo) mi servono per ricaricarmi, per staccarmi dalla realtà e vivere in un mondo mio. Un mondo che di volta in volta posso cambiare, sulla base dei libri che scelgo.
Ecco alcuni dei libri che ho letto in questi quasi due anni in treno che mi sono piaciuti di più. Se non vi piacciono i libri storici e molto molto descrittivi non provateci nemmeno a leggerli. E non criticatemi, i gusti sono gusti:
C. W. Gortner "L'ultima regina"
M. Faber "Il petalo cremisi e il bianco"
E. Zola "Al paradiso delle signore"
M. Orths "La figlia del sole e della pioggia"
G. Arthur "Memorie di una geisha"
mercoledì 29 luglio 2009
Ancora tratto dal sito "Italia dall'estero"
E siamo messi di nulla!!
Articolo di Società cultura e religione, pubblicato martedì 21 luglio 2009 in Gran Bretagna.
[The Guardian]
Come dimostra lo scarso spazio dedicato alle conversazioni intime registrate tra le lenzuola di casa, il Presidente del Consiglio italiano ha instaurato una cultura dell’informazione tipica dei regimi autoritari.
Riguardo alle registrazioni di Berlusconi, probabilmente la cosa che colpisce maggiormente è che la maggior parte degli italiani sappia solo vagamente della loro esistenza, quando non la ignorano del tutto.
Il fatto che il periodico d’informazione L’Espresso abbia pubblicato sul proprio sito le registrazioni realizzate da una donna che dice di essere andata a letto con lui lo scorso novembre, nella speranza di assicurarsi denaro o influenze, non è stato riportato dalla maggior parte dei telegiornali di ieri sera. Per quanto io sappia, la storia è stata ignorata non solo dai canali Mediaset di Silvio Berlusconi, ma anche dal primo e secondo canale pubblico, la RAI, e da La7, di proprietà Telecom Italia. Insieme, totalizzano i due terzi del pubblico nella fascia d’ascolto serale.
Si potrebbe obiettare che, poiché le registrazioni e le trascrizioni sono state rese disponibili su internet e poiché sono state riportate dalla stampa, non importa che la TV non se ne sia interessata. Ma ciò trascura due punti cruciali.
Il primo è che l’Italia è tra le nazioni più indifferenti a internet. Secondo un’inchiesta del Guardian lo scorso anno meno di un terzo della popolazione aveva accesso al web e quegli italiani che erano collegati usavano internet relativamente poco. La media sull’intera popolazione era di solo due ore a settimana. Questo potrebbe spiegare perché persino Mediaset fosse oggi felice di pubblicare una storia riguardante le registrazioni sul suo sito (con la naturale conclusione della tesi dell’avvocato di Berlusconi per cui sono false).
Il secondo punto importante è che, anche prima dell’arrivo dell’informazione libera su internet, solo un italiano su dieci comprava i quotidiani.
Il passaparola diffonderà senza dubbio la conoscenza dei nastri, nello stesso modo in cui ha diffuso una consapevolezza generalizzata che c’è uno scandalo che coinvolge il Presidente del Consiglio ed alcune donne. Ma è improbabile che voci e pettegolezzi cambino il fatto che i dettagli dell’intera faccenda, insieme alle sue ramificazioni di interesse pubblico, rimangono ampiamente sconosciuti alla maggior parte delle persone in Italia. Questa è un’importante ragione per cui a Berlusconi è stato possibile ignorare le richieste di sue dimissioni.
La controversia originale riguardava la chiara accusa della moglie di Silvio Berlusconi per il suo “frequentare minorenni”, come è emerso per la sua partecipazione alla festa per il diciottesimo compleanno dell’aspirante attrice e modella Noemi Letizia.
L’altro giorno mi sono trovato (non esattamente per la prima volta) ad avere una discussione con un tassista romano. È emerso gradualmente che partivamo da due punti di vista diametralmente opposti. Lui aveva sentito la spiegazione di Berlusconi (che la ragazza era la figlia di un vecchio amico) che era sostenuta dai notiziari televisivi, e dava al Presidente del Consiglio il beneficio del dubbio. Ma era all’oscuro del fatto che la spiegazione di Berlusconi non aveva retto ad un successivo esame minuzioso, perché questo piccolo dettaglio appariva solo in qualche quotidiano.
Ciò che osserviamo in Italia è l’emergere di una cultura dell’informazione tipica dei regimi autoritari. Ci sono gli informati: essi includono quelli che leggono giornali come La Repubblica, Il Corriere delle Sera e La Stampa, coloro che abitualmente navigano in rete (soprattutto giovani), e quelli che ascoltano le poche stazioni radio indipendenti come Radio 24 Ore.
Quindi ci sono i molto più numerosi disinformati che ancora apprendono le notizie dai telegiornali controllati direttamente o indirettamente da Berlusconi. Questa è una situazione anomala e allarmante in una democrazia occidentale europea, ed ancora di più perché i disinformati sono convinti di essere bene informati come gli altri. Si indignano, si arrabbiano persino, se gli si suggerisce il contrario.
Prima della caduta del muro di Berlino, c’era una zona della Germania Est comunista vicino a Dresda nota scherzosamente come Tal der Ahnungslosen (la Valle della Disinformazione). A causa di strambe condizioni topografiche o atmosferiche, i suoi abitanti non potevano ricevere i segnali TV dall’occidente e quindi dovevano arrangiarsi con le notizie date loro dal regime.
Senza dubbio non erano interamente disinformati. Senza dubbio i turisti in zona dicevano loro ciò che sapevano. Senza dubbio, qualcuno fra i giovani che andavano a Berlino per studiare tornava bisbigliando racconti di una realtà diversa e proibita. Ma essenzialmente la visione del mondo che questi sfortunati avevano era comunque formata dai loro leader.
Siamo abituati a pensare all’Italia come ad una nazione stretta e lunga con una spina dorsale montagnosa. Ma fino a quando Silvio Berlusconi rimarrà in carica faremmo meglio ad immaginarla attraversata da un vasto e profondo crepaccio - una nuova Valle della Disinformazione.
Articolo di Società cultura e religione, pubblicato martedì 21 luglio 2009 in Gran Bretagna.
[The Guardian]
Come dimostra lo scarso spazio dedicato alle conversazioni intime registrate tra le lenzuola di casa, il Presidente del Consiglio italiano ha instaurato una cultura dell’informazione tipica dei regimi autoritari.
Riguardo alle registrazioni di Berlusconi, probabilmente la cosa che colpisce maggiormente è che la maggior parte degli italiani sappia solo vagamente della loro esistenza, quando non la ignorano del tutto.
Il fatto che il periodico d’informazione L’Espresso abbia pubblicato sul proprio sito le registrazioni realizzate da una donna che dice di essere andata a letto con lui lo scorso novembre, nella speranza di assicurarsi denaro o influenze, non è stato riportato dalla maggior parte dei telegiornali di ieri sera. Per quanto io sappia, la storia è stata ignorata non solo dai canali Mediaset di Silvio Berlusconi, ma anche dal primo e secondo canale pubblico, la RAI, e da La7, di proprietà Telecom Italia. Insieme, totalizzano i due terzi del pubblico nella fascia d’ascolto serale.
Si potrebbe obiettare che, poiché le registrazioni e le trascrizioni sono state rese disponibili su internet e poiché sono state riportate dalla stampa, non importa che la TV non se ne sia interessata. Ma ciò trascura due punti cruciali.
Il primo è che l’Italia è tra le nazioni più indifferenti a internet. Secondo un’inchiesta del Guardian lo scorso anno meno di un terzo della popolazione aveva accesso al web e quegli italiani che erano collegati usavano internet relativamente poco. La media sull’intera popolazione era di solo due ore a settimana. Questo potrebbe spiegare perché persino Mediaset fosse oggi felice di pubblicare una storia riguardante le registrazioni sul suo sito (con la naturale conclusione della tesi dell’avvocato di Berlusconi per cui sono false).
Il secondo punto importante è che, anche prima dell’arrivo dell’informazione libera su internet, solo un italiano su dieci comprava i quotidiani.
Il passaparola diffonderà senza dubbio la conoscenza dei nastri, nello stesso modo in cui ha diffuso una consapevolezza generalizzata che c’è uno scandalo che coinvolge il Presidente del Consiglio ed alcune donne. Ma è improbabile che voci e pettegolezzi cambino il fatto che i dettagli dell’intera faccenda, insieme alle sue ramificazioni di interesse pubblico, rimangono ampiamente sconosciuti alla maggior parte delle persone in Italia. Questa è un’importante ragione per cui a Berlusconi è stato possibile ignorare le richieste di sue dimissioni.
La controversia originale riguardava la chiara accusa della moglie di Silvio Berlusconi per il suo “frequentare minorenni”, come è emerso per la sua partecipazione alla festa per il diciottesimo compleanno dell’aspirante attrice e modella Noemi Letizia.
L’altro giorno mi sono trovato (non esattamente per la prima volta) ad avere una discussione con un tassista romano. È emerso gradualmente che partivamo da due punti di vista diametralmente opposti. Lui aveva sentito la spiegazione di Berlusconi (che la ragazza era la figlia di un vecchio amico) che era sostenuta dai notiziari televisivi, e dava al Presidente del Consiglio il beneficio del dubbio. Ma era all’oscuro del fatto che la spiegazione di Berlusconi non aveva retto ad un successivo esame minuzioso, perché questo piccolo dettaglio appariva solo in qualche quotidiano.
Ciò che osserviamo in Italia è l’emergere di una cultura dell’informazione tipica dei regimi autoritari. Ci sono gli informati: essi includono quelli che leggono giornali come La Repubblica, Il Corriere delle Sera e La Stampa, coloro che abitualmente navigano in rete (soprattutto giovani), e quelli che ascoltano le poche stazioni radio indipendenti come Radio 24 Ore.
Quindi ci sono i molto più numerosi disinformati che ancora apprendono le notizie dai telegiornali controllati direttamente o indirettamente da Berlusconi. Questa è una situazione anomala e allarmante in una democrazia occidentale europea, ed ancora di più perché i disinformati sono convinti di essere bene informati come gli altri. Si indignano, si arrabbiano persino, se gli si suggerisce il contrario.
Prima della caduta del muro di Berlino, c’era una zona della Germania Est comunista vicino a Dresda nota scherzosamente come Tal der Ahnungslosen (la Valle della Disinformazione). A causa di strambe condizioni topografiche o atmosferiche, i suoi abitanti non potevano ricevere i segnali TV dall’occidente e quindi dovevano arrangiarsi con le notizie date loro dal regime.
Senza dubbio non erano interamente disinformati. Senza dubbio i turisti in zona dicevano loro ciò che sapevano. Senza dubbio, qualcuno fra i giovani che andavano a Berlino per studiare tornava bisbigliando racconti di una realtà diversa e proibita. Ma essenzialmente la visione del mondo che questi sfortunati avevano era comunque formata dai loro leader.
Siamo abituati a pensare all’Italia come ad una nazione stretta e lunga con una spina dorsale montagnosa. Ma fino a quando Silvio Berlusconi rimarrà in carica faremmo meglio ad immaginarla attraversata da un vasto e profondo crepaccio - una nuova Valle della Disinformazione.
martedì 14 luglio 2009
Scusate la prolungata assenza
venerdì 5 giugno 2009
Non ho parole...
Articolo ripreso dal sito italiadallestero
Intervista di Berlusconi ‘manipolata’ per la TV
Articolo di Politica interna, Società cultura e religione, pubblicato mercoledì 3 giugno 2009 in Olanda.
[Algemeen Dagblad]
Roma - L’emittente pubblica italiana RAI oggi ha superato se stessa nel sottomettersi al premier Berlusconi.
I giornalisti della RAI di solito tremano all’idea di porre al premier domande che non gli aggradano.
Per questo motivo, nel corso delle ultime settimane, i telegiornali hanno trattato la notizia della presunta relazione di Berlusconi con una minorenne con la massima prudenza, notizia che ha invece causato forti polemiche sui giornali.
Per contro, è stato dato molto spazio a un’ intervista della CNN a Berlusconi, nel corso della quale il premier sostiene, senza contradditorio, che tutte le voci che circolano sono fondate unicamente su calunnie della sinistra.
Le emittenti di Berlusconi ne hanno trasmesso lunghi spezzoni, ma sia il primo che il terzo canale della RAI hanno fatto ancora di meglio, trasmettendo una versione ‘manipolata’ dell’intervista della CNN.
Nelle immagini che hanno utilizzato infatti si vede, alla sinistra del premier, il simbolo elettorale del suo partito: un cerchio con la scritta BERLUSCONI PRESIDENTE. Nel fimato della CNN non c’era, ma la RAI lo ha aggiunto sovrapponendo alle parole dette dal premier all’emittente americana le immagini di un’intervista dell’emittente commerciale italiana Videolina. Il proprietario di Videolina, un fan di Berlusconi, ha aggiunto il logo del partito al filmato, che ha poi passato alla RAI. Usando quelle immagini, anche la RAI ha trasformato l’intervista con la CNN in uno spot elettorale per Berlusconi.
Anche al cinema si lavora per la campagna elettorale. Nel film Una notte al Museo 2, da poco nelle sale, il protagonista Ben Stiller incontra un Napoleone, che gli racconta che in Italia circola un suo discendente, un tempo “cantante su una nave, e che a certi piace molto”. Nella versione doppiata in Italiano, la frase è diventata: “che piace molto a tutti”.
Intervista di Berlusconi ‘manipolata’ per la TV
Articolo di Politica interna, Società cultura e religione, pubblicato mercoledì 3 giugno 2009 in Olanda.
[Algemeen Dagblad]
Roma - L’emittente pubblica italiana RAI oggi ha superato se stessa nel sottomettersi al premier Berlusconi.
I giornalisti della RAI di solito tremano all’idea di porre al premier domande che non gli aggradano.
Per questo motivo, nel corso delle ultime settimane, i telegiornali hanno trattato la notizia della presunta relazione di Berlusconi con una minorenne con la massima prudenza, notizia che ha invece causato forti polemiche sui giornali.
Per contro, è stato dato molto spazio a un’ intervista della CNN a Berlusconi, nel corso della quale il premier sostiene, senza contradditorio, che tutte le voci che circolano sono fondate unicamente su calunnie della sinistra.
Le emittenti di Berlusconi ne hanno trasmesso lunghi spezzoni, ma sia il primo che il terzo canale della RAI hanno fatto ancora di meglio, trasmettendo una versione ‘manipolata’ dell’intervista della CNN.
Nelle immagini che hanno utilizzato infatti si vede, alla sinistra del premier, il simbolo elettorale del suo partito: un cerchio con la scritta BERLUSCONI PRESIDENTE. Nel fimato della CNN non c’era, ma la RAI lo ha aggiunto sovrapponendo alle parole dette dal premier all’emittente americana le immagini di un’intervista dell’emittente commerciale italiana Videolina. Il proprietario di Videolina, un fan di Berlusconi, ha aggiunto il logo del partito al filmato, che ha poi passato alla RAI. Usando quelle immagini, anche la RAI ha trasformato l’intervista con la CNN in uno spot elettorale per Berlusconi.
Anche al cinema si lavora per la campagna elettorale. Nel film Una notte al Museo 2, da poco nelle sale, il protagonista Ben Stiller incontra un Napoleone, che gli racconta che in Italia circola un suo discendente, un tempo “cantante su una nave, e che a certi piace molto”. Nella versione doppiata in Italiano, la frase è diventata: “che piace molto a tutti”.
lunedì 1 giugno 2009
Deliri in famiglia
Più ci penso e più mi sembra che ci sia una sorta di sadica punizione divina in tutto questo. Una pena da scontare per una cazzata commessa nella mia vita precedente.
Non ho scelto io di essere come sono, oppure solo in parte. Chi mi conosce sa che sotto sotto io sono un po' una specie ometto intrappolato in un corpo da donna. Sono eterosessuale, questo è certo, ma di femminile c'ho ben poco. A parte la fissazione dei peli superflui a me dei vestiti, dello shopping, delle cure estetiche mi interessa poco. Sono fatta così.
Quindi probabilmente per questo motivo capisco poco chi si agita tanto per certe cose. Come un matrimonio.
Ora, capirei se il matrimonio fosse il mio (ipotesi alquanto remota, ma comunque sono certa che in tal caso mi adopererei in ogni modo per cercare di apparire al meglio) o se fossi testimone di nozze, sorella, madre degli sposi. Ma io non sono nulla di tutto questo, solo un'invitata a un matrimonio, come del resto lo è mia madre. Di un'amica storica, ok, ma solo un'invitata.
Il vestito ce l'ho. Nessuno può darmi torto se “riciclo” quello della laurea. Mi piace un sacco, l'ho pagato parecchio, mi sta pure bene e l'ho indossato una volta sola e proprio per questi motivi sono felice di avere una seconda occasione per indossarlo.
Certo, è un po' scollato e io non sono per niente abbronzata, anzi, sono bianca come un cadavere. Ma io odio il sole e non ho avuto tempo di andare al mare. Quanto al solarium, non c'è storia, non me ne farò mai uno. Bianca sono e bianca rimango. Bastano e avanzano Berlusconi e Carlo Conti con le loro carnagioni color castagnaccio.
Dalla parrucchiera non posso andare: il matrimonio è lunedì e i parrucchieri sono chiusi. Poi se mi ci metto di impegno so sistemarli anche da me, ora che sono corti.
Certo, se domani piovesse, questo scoccerebbe un po' ma non dipende certo da me.
Alla luce di questi fatti mi pare tutto sotto controllo, no?
E allora mi spiegate perchè mia madre è tutta in fibrillazione e mi scassa da morire?
Da quando l'ha saputo non fa altro che parlare di questo matrimonio, di fare cose finalizzate al matrimonio.
Prima l'ansia da regalo di nozze. Grazie alla lista è stato facile, e allora perché si sgomentava?
Poi la trafila dell'abito. E come mi vesto io, e come si veste il babbo, oddio oddio non abbiamo niente, andiamo qua, andiamo là, no qui no non hanno la roba che mi piace a me, andiamo a Firenze, sì ora l'abito c'è ma mancano le scarpe.
Dove trovo le scarpe? Aiuto aiuto, cerchiamo le scarpe, quasi quasi me le faccio prestare dalla zia anzi no le compro anzi no me le presta o forse le compro.
Manca solo la borsa. Ma di borse non ne ho, chissà se ne compro un'altra, no là non ce ne stava bene una, Marta, tu hai borse da prestarmi? No questa non ci sta bene, via, girerò tutti i negozi finché non trovo una borsa.
Ma tu cosa ti metti? Il vestito della laurea? Ma sei sicura? Te lo sei già messo! Sì mamma, me lo son messa solo il giorno della laurea. Non è che son andata a fare l'orto poi con quel vestito lì, ti pare? Sì, anche la giacca non me la sono più rimessa. Di scarpe ne ho due paia che ci stanno bene, non ti preoccupare. Dipende da che tempo farà. No, mamma, non ho borse nuove. La nera che mi ha regalato la zia penso che andrà benissimo...No, Marta, quella è troppo “usualina” (cazzo vuol dire usualina?). Ne ho vista una bellina, rosa chicco in quel negozio l'altro ieri. Perché non vai e te la compri? L'hai già detto tu, mamma, perché non vado e me la compro: perché è rosa chicco.
E i capelli? Come farai con i capelli? Me li sistemo da me, mamma. Ma sei sicura? Non sarà meglio andare dalla parrucchiera che è aperta il lunedì, quella che ho scovato io? No mamma, preferisco farmeli da sola e magari averli leggermente il disordine che mettere la mia testa in mano a chi non conosco e magari ritrovarmi con una cofana stile Stephanie di Beautiful negli anni '80.
Poi oggi la TRAGEDIA. Viste le previsioni meteo disastrose mia mamma ha radunato il gran consiglio: mia zia. Oddio, ma se piove, ma avrò freddo, ma avrò caldo...No no qua ci vuole una giacca, uno scialle non basta. No, il golfino fa sciatto. Marta, ma te ce l'hai una giacca? Certo mamma, ho la giacca abbinata al vestito. E le scarpe! Oddio le scarpe! Io ho i sandali!! E se piove come faccio? Devo assolutamente comprarne un paio chiuse perché se dovesse piovere...Marta e te come farai? Ho due paia di scarpe adatte mamma: un paio di sandali o delle scarpine chiuse. Le scelgo sulla base del tempo che farà.
Da qui serie di discorsi frenetici e sconclusionati con mia zia...Ma ti ricordi al matrimonio di nostra quadriscugina Gigetta nel '91 quando ci vestimmo pesanti e invece era caldo? Ti ricordi quando si sposò Gandolfo anni '70, quando piovve tutto il tempo, avevo sbagliato a mettermi i sandali. Sì, perché quello di Ramunzia nell'85, quando fecero il rinfresco all'aperto e venne quel terribile acquazzone?
Vanno avanti da ieri e ancora stanno parlando. E si sposa la figlia di un'amica, non una parente stretta...
Poi la gente si stupisce che io non mi voglia sposare e mi chiede il perché!!!
sabato 30 maggio 2009
Riparlando di ex
Il blog di un'amica mi ha fatto decidere di postare questo pezzo scritto qualche tempo fa
Qualche notte fa ho sognato il mio EX. Non un ex a caso ma il mio primo ragazzo o, come dice Giova quando si riferisce a lui, “L'EX” pronunciato con voce profonda e tremante da film dell'orrore, a voler sottolineare lo scompiglio allucinante che la sua figura ha provocato nella mia esistenza.
Nel mio sogno, contro ogni mio pronostico che lo davano calvo al 98,9% dei casi, aveva ancora tutti i capelli suoi, oppure Cesare Ragazzi aveva fatto un ottimo lavoro.
Anche i lineamenti nobili della sua faccia erano più o meno rimasti invariati.
Quando stavamo insieme aveva davvero un bel viso. Non di quelle bellezze sconvolgenti che attizzano le donne e che le fanno pensare “mamma mia che bel figaccione come me lo farei”. La sua era più una bellezza elegante, delicata, raffinata, non certo una bellezza di quelle che fanno sesso stile attore di Hollywood, direi più che aveva la classica e mesta bellezza da attore di fiction italiana di prima serata, ecco. Di quelli carini, efebici e senza un culo da paura. Sono piacevoli a vedersi ma sicuramente la prima cosa che ispirano non è certo il sesso. Con quella faccia lì, fosse stato 10 cm più alto e avesse fatto un provino sicuramente l'avrebbero preso a cinecittà per una di quelle serie di 5-10 puntate. Con un paio di favoriti non ci sarebbe stato Jacopo Ortis migliore di lui mentre scrive le sue ultime lettere in una serie tv realizzata coi piedi, avrebbe potuto essere credibilissimo nel ruolo di protagonista nella fiction dedicata al primo inventore della zigrinatura sulla gomma del pedale dell'acceleratore, o, con meno pretese, come un cugino alla lontana di Elisa di Rivombrosa. A quanto mi risulta non ha mai fatto provini o carriera nel piccolo schermo e probabilmente è stato un errore. Se l'avesse fatto sono certa che l'avrebbero preso e che adesso avrebbe un bel gruzzoletto da parte. Ma queste sono mie supposizioni che non hanno nulla a che fare con quello che voglio dire.
Non è un fatto insolito, almeno per me, sognare gli ex. Anche se non è un mio sogno ricorrente. A volte capita che li sogni, tutto qui, come mi capita di sognare di essere ancora alle superiori e di essere impreparata per l'interrogazione di inglese. Ma sognare lui e in quel contesto mi ha lasciato un po' stranita.
No, tranquilli, non ho sognato di andarci a letto. Semplicemente ho sognato che ci parlavamo e in un certo qual senso sognare questo è quasi più assurdo che sognare di esserci andata a letto.
Conobbi il mio ex l'ultimo anno di superiori. Se ne fossi veramente innamorata o meno, questo ancora non so dirlo, né credo ne sarò mai in grado. Quello che so è che fu una storia sognata, idealizzata, perfetta per molti aspetti. Era primavera e andavamo in due sul suo scooter. Nella campagna fiorentina c'erano piante di glicine fiorite ovunque. Buffo come ancora oggi, a distanza di dieci anni, il glicine e il suo odore dolciastro me lo ricordino. La scuola era a fine, gli esami vicini ma non ce ne curavamo. Facevamo l'amore e andavamo a giro.
Come tutto sia andato avanti, sia cambiato, si sia evoluto non saprei dirlo. Non ho le idee chiare su cosa sia successo dopo, solo ricordi confusi. So solo che la storia andò avanti per qualche anno, poi finì. Una fine molto dolorosa per me.
Inizialmente detti la colpa della mia sofferenza al fatto che ne fossi ancora innamorata ma mentivo, a me stessa e a lui. Non l'amavo. L'amavo perché mi aveva lasciata. L'amavo perché con lui avevo passato, almeno in parte, un bel periodo.
Poi c'è stato un certo periodo in cui ho continuato a soffrire, forse per quella serie di strani sentimenti che si fanno largo alla fine di ogni storia: l'orgoglio ferito, il cambio di abitudini, l'insicurezza di dover nuovamente affrontare la vita da sola, la rabbia che lui si fosse rifatto una vita mentre io invece ero single e me la passavo male. Il desiderio di rivalsa, forse di vendetta mi portarono fra altre braccia, a provare ad essere quella che non ero. Poi l'odio nei suoi confronti, il voler negare quasi la sua esistenza.
Era la mia prima storia seria, la mia prima storia seria che finiva, e mi ci volle un bel po' di tempo prima di tornare in carreggiata.
Credo sia stato questo, il fatto che fosse la mia prima esperienza di storia finita male, insieme a tutto un susseguirsi di fasi tumultuose, di eventi confusi, a far sì che ancora oggi, a distanza di anni, quando ormai il suo ricordo non è che un puntino lontanissimo in una vita del tutto diversa, che il suo nome sia ricordato un con tremito da film dell'orrore nell'immaginario collettivo. Buffo come una faccia da fiction si sia trasformata in una faccia da horror.
Poi questo sogno. Niente di trascendentale se si vuole, nulla di anormale. Mi trovavo a casa sua, in camera di sua sorella che adesso se ne era andata ed era diventata la sua. E parlavamo. Mi stava raccontando cheera prossimo alle nozze e mi faceva vedere la sua ragazza in una foto che teneva sul comodino. Una bella ragazza dal viso fresco e solare, con lunghi riccioli neri e un gran sorriso. Ero felice che si sposasse.
La stanza era luminosa come me la ricordavo, con quel forte odore di legno che mi piaceva tanto. A un certo punto facevo notare al mio ex come alcune cose della camera fossero cambiate: c'era una nuova scrivania, erano stati tolti i pelouches dal baule accanto al letto e anche le tende avevano colori diversi. E gli chiedevo se per caso non era nel bagno piccolo che era rimasta una mia trousse della Pupa alla quale tenevo particolarmente e che per lungo tempo avevo cercato invano.
I suoi occhi nel sogno si sono fatti tristi e mi hanno fissata a lungo. Poi mi ha detto “Che strana sensazione. Per te è come se in questa stanza per tutti questi anni il tempo non fosse mai trascorso. Ricordi esattamente com'era quando stavamo insieme, tutti i particolari e hai continuato a ricordarla così per tutto questo tempo. Io invece, vivendoci, non ci ho mai fatto caso. Non mi sono mai accorto dei piccoli cambiamenti che ci sono stati nel corso degli anni, essendo sempre rimasto qui, ma tu hai notato tutto”.
Così finiva il mio sogno, con questa nota di strana malinconia.
E in effetti è così. L'ultima volta che vidi il mio ex fu nel 2001. Stavamo ancora insieme. Ci salutammo in un caldo pomeriggio di luglio alla stazione di Firenze. Stavo partendo per il mare. Salii sul treno con gli occhi gonfi di lacrime. Eravamo in crisi e non sapevo cosa mi aspettasse al ritorno delle ferie. Quando rientrai a casa, due settimane dopo, ci sentimmo solo fugacemente per telefono. Si era innamorato di un'altra con la quale aveva iniziato una storia in mia assenza. Fu molto duro, violento verbalmente. Non desiderava rivedermi mai più. A lungo cercai il confronto ma invano. Avrei voluto rivederlo, anche solo per riavere la mia roba e rendergli la sua ma lui non volle, neppure a distanza di mesi, forse temendo che io fossi sempre innamorata di lui, che potessi creargli problemi con la sua nuova fidanzata. Dopo mesi di tentativi mi arresi. Alla fine questa storia finita una lezione me l'aveva data: non puoi pretendere che le persone cambino. Puoi solo condividerne o meno le scelte, ma alla fine la sola cosa da fare è accettare che non tutti la pensino come te. Non ha alcun senso lottare contro i mulini a vento come Don Chisciotte.
Così non l'ho mai più rivisto, o incontrato per sbaglio in un posto qualunque. Non so che aspetto abbia adesso, cosa faccia nella vita e se, come suppongo, abbia perso i suoi capelli che all'epoca già cominciavano a diradare.
Il sogno della scorsa notte mi ha fatto capire perché questa storia, ormai un vaghissimo ricordo di un'amore che non fa più parte della mia vita, nella quale sono passati altri amori più forti e travolgenti, ancora mi crei malinconia e perché ogni volta che sento l'odore del glicine un groppo mi stringa la gola.
Non era l'amore finito, la ferita della sconfitta. Non era l'odio o la rabbia. Queste sono cose che col tempo si affievoliscono fino a svanire, uno dei grandi regali che ci concedono gli anni che passano.
E' la malinconia del passato rinnegato, la certezza di sapere di non essere nemmeno un ricordo, quando forse lo scopo unico che come esseri umani geneticamente ci prefiggiamo è quello di essere ricordati.
E' la certezza che se adesso, dopo tanti anni, ci rincontrassimo fortuitamente, probabilmente non ci riconosceremmo o fingeremmo di non conoscersi, quando invece forse quello che vorrei sarebbe salutarlo, stringergli la mano e dirgli “ciao, come stai? Io sto bene, mi ricordo ancora di te con un sorriso”.
martedì 26 maggio 2009
E guardo il mondo da un oblò...
Dopo aver trascorso una settimana dopata a base di aulin e penicillina causa ascesso a un dente, eccomi di nuovo qua, di nuovo col volto sgonfio. Non somiglio più a Lino Banfi.
Mi capita spesso, quando "guarisco" da un disturbo che ho avuto, di sentirmi come se mi risvegliassi da anni di sonno, una specie di Bella Addormentata nel bosco senza bellezza, senza principe e soprattutto senza bosco. Ancora intorpidita dal sonno mi guardo intorno, per valutare cosa è successo mentre io dormivo, cosa mi sono persa, cosa è cambiato.
Così scopro che a lavoro è successo un mezzo putiferio (e che palle, ti pareva, quando manco io succedono sempre le cose più "sugose") che mi tocca aprire la partita iva e che la gente è tutta incazzata e incazzosa, forse per il caldo afoso.
A volte in questi casi mi capita di estraniarmi dal mondo, dalla vita, di guardare le cose all'esterno, e come attraverso un binocolo al contrario mi appaiono lontanissime.
Mio padre ha un pessimo vizio: quando vede la gente incazzata a morte inizia a ridere e non sa come fermarsi. Il fatto, com'è ovvio, fa accrescere ancora di più l'incazzatura degli incazzati, ma questa è un'altra storia. Il fatto è che mio padre ride non per sfida o per farsi beffe dell'altro ma perchè va oltre la situazione, osserva come un bambino le facce buffe che fanno le persone furibonde, e inizia a ridere.
Che sia la genetica, che siano i farmaci o il caldo, fatto sta che anche io in questi giorni mi sono estraniata da tutto e ho cercato di vivere le cose come se le guardassi dall'esterno, come se le vedessi in tv, per vedere che effetto fanno, che resa hanno sul piccolo schermo.
Mi guardo intorno e vedo gente incazzata, gente che strilla, che urla, che offende, che perde la voce per un parcheggio. Gente che passa la vita a rodersi il fegato per motivi futili. Gente che rinuncia a cose che sarebbero ben più importanti per un lavoro che li frustra e li rende insoddisfatti.
Negli ultimi 3 giorni ho assistito solo a questo, alle urla incazzate, ai discorsi acidi, alle ripicche, ai ricattini.
Ebbene, ieri sera, quando ho assistito all'ennesimo sclero assurdo della persona che mi stava davanti, per cose oggettivamente futili, ma che per lei al momento erano importantissime, quasi fossero questioni di vita o di morte, mi sono resa conto che a volte anche io faccio parte della mischia, a volte anche io sclero così.
A volte mi rodo il fegato per un lavoro che non mi dà neanche 250 euro al mese e nessuna soddisfazione a livello personale, ciononostante passo intere giornate a impegnarmi affinché sia fatto al meglio, sia fatto come deve essere fatto.
Faccio corse inutili con la macchina per trovare parcheggio vicino al posto in cui devo andare, per perdere meno tempo, così ne posso dedicare di più a cose che non ho nessuna voglia di fare, ma che sento di dover fare.
Cerco di fare tutto bene perché così gli altri non abbiano niente da criticarmi, niente da dire, non siano delusi delle aspettative riposte in me, e mi colpevolizzo per gli errori anche minimi che faccio, quelli che gli altri non vedono neppure con la lente di ingrandimento.
Ebbene, ieri, guardando il volto contratto della tipa che sclerava, ho capito che forse alla fin fine non fa mica tanto bene prendersi così sul serio.
E' inutile arrancare per raggiungere un'ipotetica perfezione che, come sappiamo, non esiste. Ci sarà sempre una virgola fuori posto.
E' inutile rodersi il fegato per tutte le cose che ci succedono, visto che gli imprevisti continueranno ad accadere, sia che li vogliamo oppure no.
E' stupido vivere per il lavoro, prenderlo di punta, visto che la sola cosa che può darti è qualche soldo in più, che poi non ti puoi nemmeno godere se sei troppo stressato e impegnato a lavorare.
E allora tanto vale prendersi meno sul serio, vivere la vita come viene, rilassarsi, e a volte ridere un po' di noi stessi. Alla fine ha ragione la mia amica Sara, alla quale non sarò mai sufficientemente grata per avermi fatto capire che a volte quello che può salvarci dalla pazzia è proprio vivere alla carlona.
mercoledì 20 maggio 2009
Potsdamer Platz, ieri e oggi
Forse sarà l'ascesso al dente e gli antibiotici che sto prendendo, ma stasera mi sento nostalgica e pensierosa...vorrei essere a Berlino
Non riesco a trovare la Potsdamer Platz...
No...credo sia qui...no, no, non può essere perché alla Potsdamer Platz c'era il Cafè Josty, ci venivo il pomeriggio a chiacchierare e a bere un caffè. Guardavo la gente, dopo aver fumato i miei sigari da Loese e Wolf, una tabaccheria prestigiosa, proprio qui di fronte...
Allora non può essere qui la Potsdamer Platz...no...non si incontra nessuno cui poter chiedere...era una piazza animata...tram, omnibus a cavalli e due auto: la mia e quella della cioccolata Hamann. Anche i magazzini Wertheim erano qui e poi all'improvviso là sventolarono delle bandiere. L'intera piazza ne era piena e la gente non era più gentile e neanche la polizia.
Ma non mi dò per vinto finché non ho trovato la Potsdamer Platz.
Dove sono i miei eroi? Dove siete voi, figli miei? Dove stanno i miei? Gli ottusi, quelli delle origini. Chiamami, o Musa, il povero immortale cantore che, abbandonato dai mortali suoi uditori, perse la voce, lui che, angelo del racconto, è diventato il suonatore d'organetto là fuori, ignorato o deriso, alle soglie della terra di nessuno.
(Il cielo sopra Berlino)
Non riesco a trovare la Potsdamer Platz...
No...credo sia qui...no, no, non può essere perché alla Potsdamer Platz c'era il Cafè Josty, ci venivo il pomeriggio a chiacchierare e a bere un caffè. Guardavo la gente, dopo aver fumato i miei sigari da Loese e Wolf, una tabaccheria prestigiosa, proprio qui di fronte...
Allora non può essere qui la Potsdamer Platz...no...non si incontra nessuno cui poter chiedere...era una piazza animata...tram, omnibus a cavalli e due auto: la mia e quella della cioccolata Hamann. Anche i magazzini Wertheim erano qui e poi all'improvviso là sventolarono delle bandiere. L'intera piazza ne era piena e la gente non era più gentile e neanche la polizia.
Ma non mi dò per vinto finché non ho trovato la Potsdamer Platz.
Dove sono i miei eroi? Dove siete voi, figli miei? Dove stanno i miei? Gli ottusi, quelli delle origini. Chiamami, o Musa, il povero immortale cantore che, abbandonato dai mortali suoi uditori, perse la voce, lui che, angelo del racconto, è diventato il suonatore d'organetto là fuori, ignorato o deriso, alle soglie della terra di nessuno.
(Il cielo sopra Berlino)
lunedì 11 maggio 2009
Appuntamento con Lesto non mancate!
Domenica 17 alle ore 22.00 al circolo Ho-CHi-Minh di Pistoia (porta al Borgo) ci sarà la prima di "Lesto!" parodia del film Speed ai cui attori io e gli altri della banda di Gassenfondo prestiamo le voci
Accorrete numerosi!
martedì 31 marzo 2009
La libertà
Oggi ho realizzato.
La libertà è capire che tutto intorno a noi, le persone che ci circondano, le cose, la stessa nostra vita hanno per noi l'importanza che decidiamo di dargli, non un grammo di più.
Dio può esistere o non esistere, siamo noi a deciderlo.
La libertà è capire che tutto intorno a noi, le persone che ci circondano, le cose, la stessa nostra vita hanno per noi l'importanza che decidiamo di dargli, non un grammo di più.
Dio può esistere o non esistere, siamo noi a deciderlo.
sabato 28 marzo 2009
Invettiva
Come tutti quelli che mi conoscono sanno io non sono appassionata di moda o di grandi firme.
Un vestito me lo compro per come mi sta e non per il nome che c'è scritto dietro o sopra o davanti o dove gli pare a loro. Oltretutto ritengo che certe firme siano particolarmente tamarre, abbiano cuciture sciatte e tessuti di scarsa qualità. Per non parlare del fatto che, con ogni probabilità, sia i vestiti del mercato sia quelli delle grandi firme sono stati entrambi cuciti in cina in un casermone dove, nei ritagli di tempo, i poveri operai assemblano anche frullatori e tostapani.
Infatti le uniche cose "di firma" (come diceva mia nonna) che ho sono finite nel mio armadio in seguito a regali. Insomma, se devo scegliere come spendere un migliaio di euro preferisco una vacanzina piuttosto che una cinturina di plastica pitonata, vi pare?
Ecco, quindi capite bene che se oggi sono andata di mia spontanea volontà sul sito di una di queste grandi firme (di cui cercherò di non fare il nome ma non ve lo prometto!) era per motivi diversi dal semplice guardare la collezione autunno-inverno 2009-2010 (ecco un altro motivo per cui odio la moda, quest'ansia di guardare sempre al futuro, di voler anticipare i tempi...mi fanno sempre sentire più vecchia o in ritardo rispetto a qualcosa.) In effetti era per lavoro. Tutto quello che mi serviva: un numero di telefono degli uffici, o anche una mail. Certo, non speravo di trovarlo alla prima. Mi accontentavo, pensate un po' voi come son messa male, del numero verde di un qualsiasi call centeraccio popolato da giovani precari.
Dunque, armata di computer vado su google e clicco sul sito ufficiale della marca tal dei tali.
Mi ritrovo su una pagina dove dominano due fattori: la roboanza e la supponenza.
Neanche il tempo di caricarla tutta che parte a fiamma una musica stile tenax il sabato sera e tutta una serie di intro a cascata noiosissime. Clicco veloce come il vento sulla scritta Skip e vengo proiettata in un'altra dimensione...ai confini della realtà.
Una serie di minischermi in cui modelle scheletriche camminano sulle passerelle, ancora a ritmo di quella house music assurda. Mentre arranco per cercare il tasto togli la musica noto con mio sommo disgusto che spostare il cursore del mouse in quella pagina infestata da ogni tipo di demoni provoca una reazione a catena di effetti tamarri come imitazione dei flash di fotogafi, stelline, brilluccichini, strobo.
Spenta la musica riesco a concentrarmi meglio e noto l'infinita supponenza della pagina. Già, perchè LORO danno per scontato che tu sia finito lì per due motivi: per guardare (e non toccare) oppure per COMPRARE.
Non ci sono alternative. Vado al link storia e mi parla della storia dell'azienda, di quanto è figa e di quanto è bella. Vado già scettica nella sottocategoria prodotti, dove si loda la preziosità dei loro modelli di fattura italiana(il che vuol dire che dall'Italia partono le direttive rivolte al casermone in Cina su come fare i vestiti)e dove si aprono gallerie infinite di collezioni dove sono contenute migliaia di immagini di borse, scarpe, cinture, vestiti etc etc.
Niente da fare. Quanto agli altri link: un breve cenno sui loro fighissimi stilisti tanto fèscion, una raccolta di cosa ha detto la stampa di loro (che sono fighi e che sono belli, ovviamente) e, messo in risalto da ulteriori effetti roboanti, lo spazio clienti, con il simbolo di un bel carrellino della spesa.
Numeri telefonici neanche l'ombra. Un solo indirizzo mail, quello al quale puoi richiedere qual è la loro boutique a te più vicina (sai cosa me ne faccio? anzi quasi quasi se resco a sapere qual è la boutique a me più vicina ne approfitto per fare due passi nei araggi imbottita di tritolo).
Ma porca miseriaccia, ma un numero telefonico di un call centeraccio? Niente di tutto ciò, non è prevista dalla loro logica di "marketing", non fa parte della loro "mission", loro si occupano solo di "customer satisfaction". La loro vanagloria e supponenza è talmente alta che nemmeno considerano il fatto che qualcuno li possa cercare per altri motivi. Basta, sono troppo incazzata.
Ancora una volta mi sento orgogliosa di ammettere che ho scritto il presente post indossando una tuta dei cinesi comprata al mercato!!
martedì 24 marzo 2009
Lotta contro la musica di merda
Un piccolo assaggio della nostra ultima opera...un omaggio a tutti coloro che si ribellano alla musica di merda
domenica 15 marzo 2009
Riflessioni sui teen ager e i difetti posturali
L'altro ieri chiacchieravo con Sara che da qualche tempo lavora in un liceo e da brave "anziane" di quasi 30 anni riflettevamo su come cambiano i tempi e le mode dei teen ager.
Per quanto riguarda quelli della nostra generazione, c'è stato un cambiamento che ha fatto da spartiacque, una rottura che, come la caduta dell'impero romano d'occidente, ha causato il passaggio da un'era (la nostra) a un'altra: la scomparsa dello zaino dell'INVICTA.
Ora come questo sia avvenuto, se gradualmente o di botto, non so dirlo. So solo che quando andavamo alle superiori noi lo zaino invicta era un must, al punto che eri ritenuto sfigato se non ce l'avevi. Ora nessuno ce l'ha più e anzi, se ce l'hai sei ritenuto uno sfigato.
Mi domando come questo cambiamento possa aver influito sul futuro dell'azienda invicta ma non è certo questo il punto.
Lo zaino dell'invicta era uno status symbol, ti dava un senso di appartenenza, era qualcosa che denotava cosa facevi (uno studente gggiovane) e chi eri (non certo uno sfigato).
Ce n'erano di varie tipologie: quelle semplici "monocromatici", quelli con abbinamenti improbabili di colori tipo fuxia, verde e arancio (tipicamente anni 90) o le fantasie "a tema" elaborate dal signor Invicta di anno in anno per vendere di più (psichedelico, dedicato agli indiani, salviamo i delfini, no agli inceneritori, W i sandali con gli occhi...) o quelli storici, ereditati dai fratelli, tutti sbiaditi che al posto delle fibbie grandi avevano quelle piccole.
Spesso e volentieri lo zaino dell'invicta serviva a far sapere agli altri -previa uso indiscriminato dell'uni posca- i tuoi sentimenti (Francy TVTB, Mary TAT, W la fia) la tua fede(forza juve, forza milan, forza pistoiese) o semplicemente chi cavolo eri (Ely L., Chicca '79, Matte G.). Se per caso cambiavi idea riguardo a una delle cose suddette avevi due alternative: lavare lo zaino finchè, insieme al suo colore, non se ne andava via un po' di uni posca e scriverci sopra le tue nuove opinioni oppure direttamente cambiare lo zaino comprando un invicta nuovo.
Ma quello che veramente ha contraddistinto una generazione intera, la mia, non è stata la tipologia di zaino dell'invicta, ma come veniva portato.
Ora, si sa che lo zaino è fatto appositamente per essere portato su due spalle (guarda caso ha due lacci sul dietro, non UNO come il monospalla che fra l'altro ha riscosso un limitato successo) ma non so per quale motivo a un certo punto venne fuori la moda che lo zaino dell'invicta andava portato su una spalla sola: se lo portavi su due eri, manco a dirlo, uno sfigato al pari di coloro che non avevano lo zaino dell'invicta.
Che poi l'unico laccio che usavi mica lo potevi tenere stretto! no, doveva essere lentissimo in modo che lo zaino penzolasse a livello delle chiappe, a volte sbattendoci direttamente sopra.
Ora, poichè spesso e volentieri i libri che portavamo a scuola erano molti e anche pesanti, come per la torre d Pisa ci piegavamo dall'altra parte per fare da contrappeso.
Come se non bastasse mica ti potevi mettere lo zaino in spalla appoggiandolo prima in alto, tipo su un banco! no, fare così era da sfigati (che te lo dico a fà) dovevi sollevarlo da terra, farlo ruotare e mettertelo in spalla direttamente con un rumore tipo CIAC che a volte era provocato dallo zaino che sbatteva sul giacchetto, altre dalla tua spalla che si lussava.
Da qui ecco il danno: un'intera generazione di giovani ha portato giorno dopo giorno per 5, a volte anche 6, 7 o 8 anni (a seconda di quante volte ripetevi gli anni scolastici) lo zano su una spalla sola...Cazzo le nostre schiene ne devono aver risentito di brutto!
Così come è successo per certi antropologi che hanno trovato scheletri antichissimi con le ossa orredamente deformate da chissà quale moda assurda forse tra un mille anni degli antropologi del futuro studieranno i nostri scheletri e si domanderanno come mai un certo numero di scheletri presentano una spalla più bassa dell'altra.
La risposta, cari antropologi e archeologi del futuro, ve la dò io: è lo zaino dell'INVICTA!!
mercoledì 4 marzo 2009
La domanda fatidica
Il post di oggi è una considerazione che già da un po' di tempo mi ronzava nella testa ma solo oggi, dopo la visita oculistica del rinnovo della patente (eh già, sono ben 10 anni che semino il panico per le strade)mi sono decisa a esplicitarla.
Un tempo neanche troppo lontano era ritenuto maleducazione chiedere un'età a una signora. Mia nonna non mi ha mai voluto dire la sua età, si arrabbiava se glielo chiedevo e purtroppo quanti anni avesse nonna l'ho scoperto solo il giorno in cui l'ho letto sulla sua lapide. Oggi i tempi sono cambiati. Forse perchè sono ancora ggggiovane (o così mi ritengo) non mi dà alcun fastidio dire che ne ho 28.
Al giorno d'oggi c'è una sola domanda che temo più della peste: che lavoro fai?
Cioè, non se siamo in un salotto fra amici e l'ultimo arrivato mi chiede "allora Marta, che lavoro fai?" in tal caso rispondo senza problemi: "mi occupo di cultura bla bla bla bla" e ne può nascere anche uno spunto di conversazione semibanale/semipallosa.
Già, ma quando a chiedertelo è, come oggi, un dottore/burocrate(che sono la razza peggiore!!)cosa cavolo gli rispondi? Quello si aspetta da te una risposta breve e sintetica, non la storia della tua vita. A lui di cosa fai o non fai non gliene frega nulla, a dire il vero non gliene frega nulla nemmeno se hai lo sguardo da lince o sei cieco come una talpa, sebbene debba rinnovarti la patente. A lui gli interessa di liberarsi di te il più presto possibile, barrando con una crocetta un quadratino dei 5 a scelta multipla sotto la voce professione, applicare un timbro e riscuotere i tuoi soldi. Fine della visita, può mandare avanti il prossimo.
Suppongo che 10 anni fa, quando presi la patente, alla stessa domanda abbia risposto: studentessa.
Così ho continuato finché ho potuto, anche se lavoravo e studiavo allo stesso tempo. Perchè l'essere studenti è di per sè un alibi a questa domanda. Che fai? Studio. Non fa una piega. Anche se hai 70 anni e non dai esami da 20. Cosa gliene frega? studente è una delle opzioni contemplate nella lista. Questo basta.
Pochi giorni dopo la laurea mi fu fatta la stessa domanda non ricordo per cosa e io risposi a cuor leggero: studentessa. Solo dopo mi resi conto che non era più vero, che non sarebbe stato più vero.
L'altro giorno consideravo con il mio amico Giova che ci sono due cose fra le altre in base alle quali si realizza di essere "diventati adulti", vale a dire quando alla domanda "professione?" non si risponde più a cuor leggero "studente" e quando alla domanda "mail?" invece di rispondere "AkkalappiaKani87@sountubo.com o biondaocchiazzurri82@mailfasulla.it" si risponde con un sobrio "nome.cognome@gmail.com.".
Sì ma questa considerazione non risolve il problema sollevato: cosa cazzo rispondo al medico della visita per la patente?
Dopo un'ora di attesa in una stanza con pannelli esplicativi dei vari cartelli stradali e i fari di una finta ritmo rossa puntati verso di me sento chiamare il mio nome. Mi avvicino alla scrivania del dottore tutta intimorita (già, perchè fra l'altro ho paura che in 10 anni la mia vista sia calata e mi metta l'obbligo di guida con lenti), mi siedo e mi indica delle lettere su un pannello luminoso. Ok, fin qui ci sono, niente obbligo di guida con lenti.
Poi prende un foglio in mano e inizia a compilare i campi. Dio, ti prego, fa che non ci sia QUELLA domanda, fa che non me lo chieda, fa che non me lo chieda. E invece, eccotela che arriva: "Professione?" "Ehm" faccio io "sinceramente non so che dirle...PRECARIA." "ma non posso rispondere precaria" "allora" ribatto io "metta COLLABORATRICE A CONTRATTO" "eh" fa lui "ma non posso mettere nemmeno quello. che cosa fa?" "mi occupo di cultura in un ufficio" il suo sguardo si illumina "aaah, impiegata" mi dispiace quasi deluderlo "no, veramente no" "allora..libera professonista?" il suo sguardo è quasi di supplica. "guardi" faccio io "non so come risponderle, metta quello che le sembra più appropriato".
Il dottore prende i soldi, mi consegna il foglio compilato e facendomi uno sguardo mesto mi saluta con un "in bocca al lupo per il suo futuro".
Questa è la situazione dei giovani. E anche dei meno giovani. Mi domando se tutti siano in difficoltà come me a rispondere a QUELLA fatidica domanda.
Per cui, dico io, ok che lo stato, i politici e tutti coloro che si riempiono la bocca di belle parole per aiutare i giovani e bloccare il precariato non sono riusciti a fare nulla, ma almeno cazzo si mettessero d'impegno per eliminare la domanda "professione" dai questionari burocratici. Ci risparmierebbero un bel po' di seccature, no?
mercoledì 25 febbraio 2009
lunedì 23 febbraio 2009
Un breve pensiero
Per mia scelta difficilmente parlo a fondo della mia vita privata come delle persone che la popolano in questo blog.
Stavolta farò una piccola eccezione.
In questi giorni di umore altalenante cerco invano un approdo senza riuscire mai veramente a ghermirlo. Non so dove andrò, nè cosa sarà di me. Se sono in piedi vorrei essere seduta, se sono seduta in piedi. Se sono qua vorrei essere là, se sono là qua. Nessun posto mi sembra mio fino in fondo, in nessun ambiente mi sento a mio agio. In tutta questa confusione solo una persona è stata capace di farmi sentire a casa...A volte sento che Loris è la mia casa, il posto al quale, ogni volta che mi allontano, voglio tornare, mil solo del quale abbia mai davvero sentito nostalgia...
Stavolta farò una piccola eccezione.
In questi giorni di umore altalenante cerco invano un approdo senza riuscire mai veramente a ghermirlo. Non so dove andrò, nè cosa sarà di me. Se sono in piedi vorrei essere seduta, se sono seduta in piedi. Se sono qua vorrei essere là, se sono là qua. Nessun posto mi sembra mio fino in fondo, in nessun ambiente mi sento a mio agio. In tutta questa confusione solo una persona è stata capace di farmi sentire a casa...A volte sento che Loris è la mia casa, il posto al quale, ogni volta che mi allontano, voglio tornare, mil solo del quale abbia mai davvero sentito nostalgia...
mercoledì 21 gennaio 2009
Così, di getto
Premessa: forse questo post è l'effetto collaterale di un panino divorato in autogrill insieme a 5 ore di macchina, per cui prendete quanto è scritto di seguito con la dovuta cautela.
Da un'ora circa sono rientrata dai pochi giorni trascorsi sulla neve.
Ho tolto la roba dalla valigia, messo a lavare gli abiti sporchi, rimesso al loro posto quelli puliti. Tutto sembra avere una collocazione, tranne me.
Sempre così quando torno da una vacanza, sia essa della durata di un week end oppure di un mese.
Quando mi allontano da casa perdo la cognizione del tempo e di me. Se vado in montagna questa sensazione diviene ancor più forte, proprio perchè in montagna mi rilasso completamente, mi creo una nicchia tutta mia, mi spoglio dei ruoli che devo rivestire.
Al mattino colazione, poi sulle piste da sci. Pranzo in un rifugino a bordo pista. Rientro a casa al tramonto. Mi tolgo gli scarponi, appoggio gli sci e finalmente a casa. Odore di pareti di legno. Mi faccio un bel bagno rilassante, poi abiti comodi e un buon libro letto distesa sul divano. Fuori il silenzio dei boschi. Non c'è luogo dove mi senta più protetta.
Oggi già dalle prime ore di auto iniziavo a temere il rientro, perchè ormai mi conosc, conosco quell'angoscia che mi prende quando arrivo al casello di Pistoia, quando ritrovo immutata la mia città che mi aspetta. E' passato un secolo o un giorno? Non saprei dirlo.
Eppure so che tutto è finito, che devo tornare a essere me stessa.
Ringrazio il cielo di trovare appena varcata la soglia il cane che mi fa le feste. Senza di lui tutto sarebbe ben più difficile.
Intorno tutto parla di me, o almeno di quella che sono stata fino alla mia partenza, di quella che devo tornare ad essere. Il mio letto rifatto col pigiama sotto al cuscino. Le foto sul comodino: io da piccola, io con le amiche, io con Loris, io laureata. Un post-it appeso a un'anta di un armadietto mi ricorda l'appuntamento con la dietologa: venerdì ore 9 e 30. Fotocopie da studiare per un concorso. Disfo le valigie e so di non aver più scampo. Mi metto le ciabatte e accendo il pc. Aspetto che si carichi, poi vado a controllare la posta per vedere se ci sono notizie dal lavoro. Già che ci sono controllo anche il sito del comune di Prato, per vedere se sono usciti nuovi concorsi interessanti.
E ora? che ne sarà di me? Sarò di nuovo all'altezza di sostenere tutto questo? Non ho molta scelta, devo tornare a sedere sul posto che mi è stato assegnato dalla vita. Non esistono più la neve, le lunghe piste nel bosco, gli scarponi, il bagno caldo. Lo stesso libro che leggevo nella mansarda odorosa di legno dal letto di camere mia racconta una storia diversa. Riuscrò a riprendere il filo?
Da un'ora circa sono rientrata dai pochi giorni trascorsi sulla neve.
Ho tolto la roba dalla valigia, messo a lavare gli abiti sporchi, rimesso al loro posto quelli puliti. Tutto sembra avere una collocazione, tranne me.
Sempre così quando torno da una vacanza, sia essa della durata di un week end oppure di un mese.
Quando mi allontano da casa perdo la cognizione del tempo e di me. Se vado in montagna questa sensazione diviene ancor più forte, proprio perchè in montagna mi rilasso completamente, mi creo una nicchia tutta mia, mi spoglio dei ruoli che devo rivestire.
Al mattino colazione, poi sulle piste da sci. Pranzo in un rifugino a bordo pista. Rientro a casa al tramonto. Mi tolgo gli scarponi, appoggio gli sci e finalmente a casa. Odore di pareti di legno. Mi faccio un bel bagno rilassante, poi abiti comodi e un buon libro letto distesa sul divano. Fuori il silenzio dei boschi. Non c'è luogo dove mi senta più protetta.
Oggi già dalle prime ore di auto iniziavo a temere il rientro, perchè ormai mi conosc, conosco quell'angoscia che mi prende quando arrivo al casello di Pistoia, quando ritrovo immutata la mia città che mi aspetta. E' passato un secolo o un giorno? Non saprei dirlo.
Eppure so che tutto è finito, che devo tornare a essere me stessa.
Ringrazio il cielo di trovare appena varcata la soglia il cane che mi fa le feste. Senza di lui tutto sarebbe ben più difficile.
Intorno tutto parla di me, o almeno di quella che sono stata fino alla mia partenza, di quella che devo tornare ad essere. Il mio letto rifatto col pigiama sotto al cuscino. Le foto sul comodino: io da piccola, io con le amiche, io con Loris, io laureata. Un post-it appeso a un'anta di un armadietto mi ricorda l'appuntamento con la dietologa: venerdì ore 9 e 30. Fotocopie da studiare per un concorso. Disfo le valigie e so di non aver più scampo. Mi metto le ciabatte e accendo il pc. Aspetto che si carichi, poi vado a controllare la posta per vedere se ci sono notizie dal lavoro. Già che ci sono controllo anche il sito del comune di Prato, per vedere se sono usciti nuovi concorsi interessanti.
E ora? che ne sarà di me? Sarò di nuovo all'altezza di sostenere tutto questo? Non ho molta scelta, devo tornare a sedere sul posto che mi è stato assegnato dalla vita. Non esistono più la neve, le lunghe piste nel bosco, gli scarponi, il bagno caldo. Lo stesso libro che leggevo nella mansarda odorosa di legno dal letto di camere mia racconta una storia diversa. Riuscrò a riprendere il filo?
giovedì 15 gennaio 2009
La valigia dello sciatore
Quasi tutti gli anni è un incubo che si ripete.
Sia chiaro, mi piace andare qualche giorno a sciare e quando ne ho la possibilità programmo con entusiasmo la settimana bianca. Però tutte le volte, quando fisso il periodo etc è come se qualcosa dentro di me mi mettesse in allarme, come se la mia coscienza cercasse di ricordarmi qualcosa di tremendo che ho volutamente rimosso.
E puntualmente, come quasi tutti gli anni, due o tre giorni prima della partenza, realizzo cosa era quelloa strana sensazione...è il dover fare la valigia!
Perchè andare a sciare non è come andare da qualsiasi altra parte. Sì perchè se vai in vacanza in una città non fai altro che aprire l'armadio, prendere tot paia di calze e calzini, tot paia di mutande, abiti a seconda della stagione e di cosa prevedi di fare, li schiaffi in valigia e via si va. Al limite, se devo andare al mare, il massimo dello sforzo che faccio è prendere anche costumi, maschera, pinne e boccaglio, ma è roba da poco. Ma cazzo, avete presente cosa voglia dire fare le valigie per andare a SCIARE? Già di per sè è una cosa da sclero, perchè devi pensare alle seguenti situazioni, che richiedono ognuna un tipo di abbigliamento diverso:
- quando si sta in casa (tuta, pigiama, accappatoio, ciabatte)
- quando si esce di casa per andare al ristorante/al pub/a fare la spesa e è bel tempo (scarpe, pantaloni, calze, maglia, giacca a vento)
- quando si esce di casa per andare al ristorante/al pub/a fare la spesa e nevica (doposci, pantaloni, calze, maglione, giacca a vento, cappello, ombrello, sciarpa, varie ed eventuali)
- quando si esce di casa per andare al ristorante/al pub/a fare la spesa e fa un freddo porco (stivali, calze, calzini, pantalni pesanti, maglione, maglia di sotto, giacca a vento, cappello, sciarpa, guanti e chi più ne ha più ne metta)
- quando si va a sciare e è bel tempo (tuta da sci leggera, maglietta di sotto leggera, occhiali, fascia per capelli, guanti, calzini)+ scarponi, sci, racchette da sci
- quando si va a sciare e nevica (tuta da sci leggera, maglietta di sotto leggera, maschera da neve, cappellino, guanti impermeabili, calzamaglia)+ scarponi, sci, racchette da sci
- quando si va a sciare e fa un freddo porco (tuta da sci pesante, maxi giacca a vento che para tutto, calzamagliona di lana, calzini di lana, t shirt, maglia di sotto in pile, guanti impermeabili, sottoguanto in seta, maschera, passamontagna, scaldacollo, cappellino) + scarponi, sci, racchette da sci
Consideriamo anche il fatto che sciando si suda e quindi almeno 3 cambi di calzini e di magliette per 4 giorni concedetemeli.
Bene, avete focalizzato tutta questa roba? Ecco, se fosse tutta riunita dentro un armadio/scatolone/mobile fare la valigia sarebbe ben poca cosa. Ma ora immaginatevela sparsa qua e là e suddivisa senza un criterio ben preciso ma chiaro solo a mia madre (ecco dunque l'errore nel sistema, ancora inspiegabile ai più: perchè ogni anno affidiamo incautamente a mia madre la gestione della roba da sci?) in una serie di scatoloni chiusi in soffitta sopra ai quali stanno chili di altre cose e avrete una vaga idea di quello che devo subire ogni anno, quando mi appresto a fare la valigia per andare a sciare.
Già questo di per sè basterebbe e avanzerebbe, ma non è tutto! Già, perchè io vivo in una famiglia di gente che scia da almeno 30 anni e che in tutto questo arco di tempo non hanno buttato via nulla, ma nulla nulla di quello che aveva.
Eccomi dunque in soffitta a destreggiarmi fra racchette da sci degli anni settanta, dribblare un paio di pedule peluchose degli anni ottanta e arraffare i miei pantaloni da sci...No, cavoli, qui non c'è la giacca a vento...vediamo se è in quest'altra scatola. Niente da fare, ne escono, in ordine di apparizione:
nr. 1 tuta di mio padre della Fila, quella della nazionale italiana sci degli anni 90, uguale a Alberto Tomba e tutta stinta che mi domando cosa se ne faccia;
nr. 1 paio di fuseaux da neve blu a fiorellini (aargh) con le ghette di proprietario ignoto, di quelli che quando te li metti ti fanno subito salire l'aceto perchè il cavallo ti scende alle ginocchia in men che non si dica,
nr 2 moschettoni che usava mio padre quando faceva le cordate al cai
nr. 1 paio di guanti tipo moffola(che io odio, quei cavolo di guanti con un solo dito fuori non ti permettono di fare nulla, nemmeno indicare o mandare a fanculo, solo battere il cinque!) che hanno un aspetto scomodo e antiquato.
Sotto un cumulo di roba scovo una borsa, dalla quale fuoriescono la mia maschera (Deo Gratias) insieme a degli occhiali da sci specchiati stile De Sica in Vacanze di Natale, il mio cappellino e una fascia per capelli sulla quale è scritto San Sicario 1978...oh yeah!
Sì, ma la giacca a vento e i miei guanti ancora non si trovano...In fondo in fondo ecco che emerge uno scatolone. Lo apro e ne escono: 4 pile da sci miei (evvaiii), maglia di lana da sci dello sciclub Nuovo Pignone 1984 di fattura fantozziana, la mia calzamaglia, un colbacco di pelo marrone, non so se vero o finto e probabilmente risalente agli anni della cortina di ferro e dulcis in fundo, finalmente la mia giacca a vento!!
Adesso ho tutto, posso infilare ogni cosa in valigia e trarre un lunghissimo sospiro di sollievo...almeno fino al prossimo anno e alla prossima vacanza sulla neve!
ps: se qualcuno di voi a carnevale volesse vestirsi da sciatore degli anni '70 sapete a chi rivolgervi per avere l'attrezzatura completa
Sia chiaro, mi piace andare qualche giorno a sciare e quando ne ho la possibilità programmo con entusiasmo la settimana bianca. Però tutte le volte, quando fisso il periodo etc è come se qualcosa dentro di me mi mettesse in allarme, come se la mia coscienza cercasse di ricordarmi qualcosa di tremendo che ho volutamente rimosso.
E puntualmente, come quasi tutti gli anni, due o tre giorni prima della partenza, realizzo cosa era quelloa strana sensazione...è il dover fare la valigia!
Perchè andare a sciare non è come andare da qualsiasi altra parte. Sì perchè se vai in vacanza in una città non fai altro che aprire l'armadio, prendere tot paia di calze e calzini, tot paia di mutande, abiti a seconda della stagione e di cosa prevedi di fare, li schiaffi in valigia e via si va. Al limite, se devo andare al mare, il massimo dello sforzo che faccio è prendere anche costumi, maschera, pinne e boccaglio, ma è roba da poco. Ma cazzo, avete presente cosa voglia dire fare le valigie per andare a SCIARE? Già di per sè è una cosa da sclero, perchè devi pensare alle seguenti situazioni, che richiedono ognuna un tipo di abbigliamento diverso:
- quando si sta in casa (tuta, pigiama, accappatoio, ciabatte)
- quando si esce di casa per andare al ristorante/al pub/a fare la spesa e è bel tempo (scarpe, pantaloni, calze, maglia, giacca a vento)
- quando si esce di casa per andare al ristorante/al pub/a fare la spesa e nevica (doposci, pantaloni, calze, maglione, giacca a vento, cappello, ombrello, sciarpa, varie ed eventuali)
- quando si esce di casa per andare al ristorante/al pub/a fare la spesa e fa un freddo porco (stivali, calze, calzini, pantalni pesanti, maglione, maglia di sotto, giacca a vento, cappello, sciarpa, guanti e chi più ne ha più ne metta)
- quando si va a sciare e è bel tempo (tuta da sci leggera, maglietta di sotto leggera, occhiali, fascia per capelli, guanti, calzini)+ scarponi, sci, racchette da sci
- quando si va a sciare e nevica (tuta da sci leggera, maglietta di sotto leggera, maschera da neve, cappellino, guanti impermeabili, calzamaglia)+ scarponi, sci, racchette da sci
- quando si va a sciare e fa un freddo porco (tuta da sci pesante, maxi giacca a vento che para tutto, calzamagliona di lana, calzini di lana, t shirt, maglia di sotto in pile, guanti impermeabili, sottoguanto in seta, maschera, passamontagna, scaldacollo, cappellino) + scarponi, sci, racchette da sci
Consideriamo anche il fatto che sciando si suda e quindi almeno 3 cambi di calzini e di magliette per 4 giorni concedetemeli.
Bene, avete focalizzato tutta questa roba? Ecco, se fosse tutta riunita dentro un armadio/scatolone/mobile fare la valigia sarebbe ben poca cosa. Ma ora immaginatevela sparsa qua e là e suddivisa senza un criterio ben preciso ma chiaro solo a mia madre (ecco dunque l'errore nel sistema, ancora inspiegabile ai più: perchè ogni anno affidiamo incautamente a mia madre la gestione della roba da sci?) in una serie di scatoloni chiusi in soffitta sopra ai quali stanno chili di altre cose e avrete una vaga idea di quello che devo subire ogni anno, quando mi appresto a fare la valigia per andare a sciare.
Già questo di per sè basterebbe e avanzerebbe, ma non è tutto! Già, perchè io vivo in una famiglia di gente che scia da almeno 30 anni e che in tutto questo arco di tempo non hanno buttato via nulla, ma nulla nulla di quello che aveva.
Eccomi dunque in soffitta a destreggiarmi fra racchette da sci degli anni settanta, dribblare un paio di pedule peluchose degli anni ottanta e arraffare i miei pantaloni da sci...No, cavoli, qui non c'è la giacca a vento...vediamo se è in quest'altra scatola. Niente da fare, ne escono, in ordine di apparizione:
nr. 1 tuta di mio padre della Fila, quella della nazionale italiana sci degli anni 90, uguale a Alberto Tomba e tutta stinta che mi domando cosa se ne faccia;
nr. 1 paio di fuseaux da neve blu a fiorellini (aargh) con le ghette di proprietario ignoto, di quelli che quando te li metti ti fanno subito salire l'aceto perchè il cavallo ti scende alle ginocchia in men che non si dica,
nr 2 moschettoni che usava mio padre quando faceva le cordate al cai
nr. 1 paio di guanti tipo moffola(che io odio, quei cavolo di guanti con un solo dito fuori non ti permettono di fare nulla, nemmeno indicare o mandare a fanculo, solo battere il cinque!) che hanno un aspetto scomodo e antiquato.
Sotto un cumulo di roba scovo una borsa, dalla quale fuoriescono la mia maschera (Deo Gratias) insieme a degli occhiali da sci specchiati stile De Sica in Vacanze di Natale, il mio cappellino e una fascia per capelli sulla quale è scritto San Sicario 1978...oh yeah!
Sì, ma la giacca a vento e i miei guanti ancora non si trovano...In fondo in fondo ecco che emerge uno scatolone. Lo apro e ne escono: 4 pile da sci miei (evvaiii), maglia di lana da sci dello sciclub Nuovo Pignone 1984 di fattura fantozziana, la mia calzamaglia, un colbacco di pelo marrone, non so se vero o finto e probabilmente risalente agli anni della cortina di ferro e dulcis in fundo, finalmente la mia giacca a vento!!
Adesso ho tutto, posso infilare ogni cosa in valigia e trarre un lunghissimo sospiro di sollievo...almeno fino al prossimo anno e alla prossima vacanza sulla neve!
ps: se qualcuno di voi a carnevale volesse vestirsi da sciatore degli anni '70 sapete a chi rivolgervi per avere l'attrezzatura completa
Iscriviti a:
Post (Atom)